Vittorio Sgarbi, un raffinato collezionista

Vittorio Sgarbi è un uomo eclettico, dalle mille sfaccettature, la cultura vivissima ed elastica, capace di grandi visioni, dotato di una sofisticata curiosità culturale e mai appagato dalla bellezza artistica. Pungente e lapidario, è uno studioso raffinato ma abile nell’arrivare al cuore della gente perché padrone della sua materia.

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Nicolò dell’Arca (1435-1490) San Domenico

Laureato in filosofia, storico dell’arte, critico di fama internazionale, docente universitario, conduttore televisivo, più volte membro del Parlamento italiano e di diverse amministrazioni comunali,  Vittorio Sgarbi è anche un fine collezionista. Così ci racconta la sua passione: «La storia di una collezione è storia di occasioni, di incontri, di scoperte, s’incrocia con curiosità, ricerche, studi. Si manifesta come un’avventura, una battuta di caccia, una forma di gioco, anche d’azzardo. E poi si muta in una sfida, un corteggiamento, una conquista. Non era nella mia indole, se non nella fattispecie più corrispondente ai mezzi e alle esigenze di uno studioso, come collezionista o meglio, come raccoglitore di libri. La passione la ereditai da mio padre che aveva iniziato da professionista borghese negli anni Cinquanta con la modesta ma grandiosa raccolta dei “classici” della letteratura della BUR, la Biblioteca Universale Rizzoli. Solo agli inizi degli anni Settanta, incontrando all’Università Francesco Arcangeli, il più antico allievo di Roberto Longhi, i miei interessi prevalenti volgono alla letteratura dell’arte, con conseguente nuovo orientamento della biblioteca, quando era ancora possibile dominare il mondo dell’editoria, essendo aggiornati su tutte le nuove uscite, saggi e cataloghi di mostre, degli editori del settore.

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Carlo Bonomi (1569-1632) Sibilla

Il desiderio di possedere tutto in un genere limitato, mi sembrò allora possibile. Diventai collezionista con otto anni di ricerca, tra il 1976 e il 1983, di libri rari e unici, registrati puntigliosamente da Julius Von Schlosser. Dopo meravigliose “cacce al libro” arrivai ad avere 2800 titoli dei 3500 indicati dallo stesso. Esattamente trent’anni fa, l’illuminazione e la decisione, dopo aver studiato la psicologia di un collezionista-maestro perfetto, diviso fra libri, sculture e quadri: Mario Lanfranchi. Il primo dei tanti, grandi e piccoli, collezionisti incontrati una volta uscito dal dogma universitario che mi fece guardare le opere d’arte come beni spiritualmente universali ma materialmente indisponibili, riflesso di una visione idealistica. Fino a quell’incontro, le opere d’arte mi erano sembrate idee, pensieri, non cose. La stessa cultura artistica di quegli anni tendeva a mitizzare come mecenati e compagni di strada i collezionisti di arte contemporanea, spesso associati con le opere e considerati complici ideali degli artisti, sul modello dell’irraggiungibile Peggy Guggenheim. In quella concezione, ispirata e sostenuta da Giulio Carlo Argan, e da altri critici militanti al contrario del collezionista di arte contemporanea, quello di arte antica era poco meno di un ricettatore, un egoista che tratteneva presso di sé i beni di tutti».

«Quali collezionisti d’arte antica ispirarono la sua decisione?»

«All’epoca non c’erano collezionisti rigorosi, metodici e programmati per un destino di gloria che legava il loro nome a quelle opere, come Magani e Lia; ma le personalità corsare, eccentriche e curiose, al limite del Dandismo o del puro divertimento, come Mario Lanfranchi, Luciano Maranzi o letterati edonisti, ma intellettualmente sofisticatissimi come Pietro Bigongiari e Giovanni Testori. Da questi modelli, da questa dimensione del possibile, da questo divertimento della scoperta e della ricerca, deriva il mio interesse per il collezionismo».

«Che cosa è allora per lei il collezionismo?»

«Il divertimento e il mistero del collezionismo è l’interesse per ciò che non c’è».

«Sono ormai trent’anni che lei colleziona opere d’arte …»

«Si, trent’anni fa sono entrato in un mare grande, una storia di infiniti incontri, di infinite citazioni seguendo l’impulso di un dongiovannismo collezionistico».

«Quante opere ha raccolto?»

«Circa quattromila fra pitture e sculture».

«Dov’ è possibile ammirarle?»

«Una parte piuttosto limitata della collezione si è vista recentemente a Burgos, in Spagna. Per molti versi è un giardino segreto che ha segnalato intese spirituali e apparizioni di opere sconosciute di artisti desiderati e vagheggiati».

«Qual è stata la prima opera della sua collezione?»

«Soltanto un miracolo poteva farmi incontrare, dopo averlo visto per la prima volta dieci anni prima nel “Compianto” di Santa Maria della Vita a Bologna, Niccolò dell’Arca, con la potentissima immagine di San Domenico. Un’opera originale, originaria e iniziatica. Da questa scultura ha inizio anche il tipo del mio collezionismo rapsodico e originale che ambisce a rapporti esclusivi con le opere come con le persone viventi».

«Ci racconta la storia di una delle sue più importanti acquisizioni?»

«Fu una caccia grossa che iniziò nel 1984, si tratta del ritrovamento del grande telero con la Sibilla del pittore ferrarese Carlo Bononi. A vederla, nella sua posizione accovacciata, con lo sguardo profondo e malinconico e gli assistenti “fanciullini” che le ronzano intorno con le lastre pronte per la scrittura di nuove profezie, mi fece molta impressione.  L’opera dominava con le sue proporzioni, l’ufficio-studiolo di un colto ed elegante mercante veneziano, che oggi é, come fu in vita, una leggenda: Ettore Viancini. Occhio scuro, gusto infallibile, capacità di orientamento davanti al quadro e alle fonti, profondamente malinconico, ma con un sorriso ironico e invariabile, Ettore era una continua sorpresa per la sete di ricerca e i continui avvistamenti in viaggio e in studio. Si poteva passare da lui ogni giorno, certi di trovare cose nuove, rare e preziose, sempre di gusto, sempre al prezzo giusto. Tanto ho visto e studiato.  Ma quel giorno ero entrato nella fase nuova del possesso, non della ricerca o della segnalazione a collezionisti esigenti e sofisticati. Quella Sibilla era lì per me, doveva venire a casa mia e m’ interrogava per essere interrogata. Avevo iniziato da qualche tempo un’intensiva collaborazione con l’Editore Franco Maria Ricci per la rivista FMR e quindi potevo finalmente contare su un appannaggio mensile più generoso di quello agro di funzionario di Belle Arti. Ma quel giorno i soldi non li avevo, e quelli che servivano certamente li avevo spesi. Feci così, in perfetta malafede, un assegno scoperto per la cifra richiesta e, come un bambino goloso, caricai l’agognata Sibilla sul tetto dell’automobile per portarla a casa, dove da quasi trent’anni domina la parte corta della galleria. Andai oltre le informazioni avute da Viancini e approfondii la storia del dipinto, risalendo alla provenienza dell’Oratorio ferrarese della Scala. Ne parla il Brisighella ricordandola, con ammirazione, come “prestigioso parto” sopra una Natività dello stesso Bononi e a fianco di altre tele di artisti emiliani, fra i quali Ludovico Caracci, certamente il maestro più affine per visione e astrazione, al Bononi. Ricordo, in quella tarda mattinata di sole a Venezia, l’emozione dell’incontro con la Sibilla. Ogni collezionista conosce la storia di ogni dipinto che ha acquistato. Alcune sono più intense e memorabili, si stabilisce con le opere un legame quasi affettivo, più che con altre, per la sorpresa di un incontro inatteso o di desideri più compiutamente soddisfatti. Cosi accade anche che autori particolarmente amati si mettano più volte sulla tua strada, quasi ci fosse una sorta di parentela, un’esclusiva affinità».

«Si deduce che il ruolo del collezionista sia fondamentale nel mondo dell’arte …»

«Verissimo… l’arte continua a vivere attraverso la ricerca appassionata dei collezionisti che non vogliono che il passato si consumi».

«Un giorno ci potrà essere un museo interamente dedicato alla collezione Sgarbi?»

«Ci stiamo lavorando… sicuramente in un futuro non troppo lontano …».

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