Wall of Sound: Rock Photography nel cuore delle colline delle Langhe

Partiamo dal nome: Wall of Sound è un genere di produzione musicale sviluppata durante i primi anni ’60 dal produttore e discografico Phil Spector presso i Gold Star Studios di Los Angeles. Spector era noto per le sue idee poco convenzionali in materia di arrangiamenti
Wall Of Sound Gallery

Partiamo dal nome: Wall of Sound è un genere di produzione musicale sviluppata durante i primi anni ’60 dal produttore e discografico Phil Spector presso i Gold Star Studios di Los Angeles. Spector era noto per le sue idee poco convenzionali in materia di arrangiamenti. Perché il riferimento a Spector e in che cosa vi sentite poco convenzionali?

Ho sempre amato le produzioni elefantiache di Spector. Nel 2007 ci fu commissionata una mostra open-air dal festival “Monfortinjazz”, a Monforte d’Alba. Vedendo le grandi immagini sui muri antichi del borgo e cercando un titolo adeguato per la mostra, non potei fare a meno di pensare a “Wall Of Sound”, cioè a pareti coperte di suoni, anche se solo raffigurati dalle mie fotografie.

Guido Harari -Mostra 'Wall Of Sound', Monforte 2007

Quanto alla scarsa convenzionalità, posso dire che la selezione di artisti da inserire nella mostra fu la più eclettica e trasversale che si potesse immaginare: in parete spiccavano artisti come Tom Waits, Ennio Morricone, Philip Glass, Fabrizio De André, Lou Reed, Caetano Veloso, Paolo Conte, Bob Dylan, Enzo Jannacci, BB King, Frank Zappa, Kate Bush, Keith Jarrett, Joni Mitchell, Leonard Cohen e altri ancora. Un caleidoscopio spettacolare.

Guido Harari -Mostra 'Wall Of Sound', Monforte 2007

Quando qualche anno più tardi, nel 2011, abbiamo scelto di aprire la nostra galleria fotografica, ancora una volta “Wall Of Sound” ci è parso il nome migliore, perché, una volta di più, rappresentativo delle nostre intenzioni.

Anche la scelta delle Langhe è qualcosa di non scontato. Come si sceglie uno spazio di lavoro, riflessione e ricerca artistica?

Da molti anni volevo lasciare Milano, avevo bisogno di un luogo che mi garantisse un tempo lento per progetti che non fossero mordi e fuggi, ma immersioni totali e occasioni di approfondimento, come sono i libri. L’idea della galleria è venuta poco dopo, per gli stessi motivi. Alba ha una qualità della vita molto elevata ed attrae centinaia di miglia di turisti non solo italiani, ma da tutto il mondo. Mi sono ricordato delle numerose gallerie d’arte nel sud della Francia, immerse nella natura, e mi sono detto che sarebbe stata una sfida fantastica lanciare un progetto simile proprio qui.

Cosa trova il visitatore entrando in Wall of Sound?

Trova sessant’anni di immaginario della musica, rappresentato da stampe fotografiche e fine art, poster d’epoca, libri rari. E trova noi, testimoni di prima mano, a raccontare le storie di ogni foto, di ogni autore, a inquadrare storicamente immagini che, in moltissimi casi, hanno segnato la storia della musica. Quindi penso alle foto storiche di Beatles, Dylan, Rolling Stones, Bowie, Hendrix, Queen, Joni Mitchell, Fabrizio De André, Vasco Rossi, Lucio Dalla, firmate daigli autori più rappresentativi del genere. I poster originali – in particolare quelli dell’era psichedelica tra il 1965 e il 1972 – sono una nostra passione. E poi ci sono i nostri libri: Wall Of Sound Editions pubblica non solo i cataloghi delle nostre mostre, ma anche libri di pregio in limited edition, come quelli dedicati alle foto di Bruce Springsteen di Frank Stefanko, al jazz fotografato da Art Kane o alle mie fotografie di Kate Bush.

Wall Of Sound Gallery

Domanda per Guido: hai spesso dichiarato di aver deciso di fare questo lavoro dopo aver visto una copertina di Rolling Stone in cui John Lennon era ritratto da Annie Leibovitz. Di lei si conoscono la maniacalità e il perfezionismo ossessivo. Si dice che addirittura chiese alla regina Elisabetta di togliersi la corona perché la trovava troppo dressed up, troppo formale. Ora, i tuoi scatti sembrano invece andare al di là dell’esperienza estetica lasciando spazio al tuo modo di entrare in intimità con le celebrities. Penso per prima alla foto di Tom Waits che corre con una specie di mantello addosso. Quali delle tue fotografie sono disponibili per i tuoi ospiti?

Quel ritratto di John Lennon appena separatosi dai Beatles era un paradigma di semplicità oltre c he il primo incarico della Leibovitz per Rolling Stone. Aveva ancora uno spirito da reporter e non ancora l’ossessione di diventare la più grande ritrattista del secolo. Mi aveva ispirato quell’immediatezza, quella intimità creata con un soggetto così importante riportato alla sua umanità, alla sua autenticità. Ecco, questo è quello che ho cercato di coltivare nel mio percorso di fotografo. Individuare e cogliere la persona dietro al personaggio, evitare di iconizzare, di creare assoluti, nuovi miti. Per far questo ho stimolato l’autoironia dei miei soggetti, la loro probabile voglia di rompere degli schemi. È il caso della foto di Waits che hai citato, o di quella di Fabrizio De André addormentato per terra contro un termosifone. Squarci di autenticità.

Wall of Sound presenta anche foto di altri autori. Come operate la selezione e cosa richiede il vostro pubblico?

Quando abbiamo lanciato Wall Of Sound Gallery avevamo come modelli alcune gallerie americane ed inglesi. In Italia non esisteva ancora nulla di simile. È stata una strada in salita educare il pubblico a certi prezzi, alle edizioni limitate e firmate, alla percezione di una fotografia come opera d’arte anche se non è un pezzo unico. Nel tempo abbiamo sviluppato una clientela internazionale, soprattutto grazie al web, e questo ci ha incoraggiati soprattutto con i nostri progetti editoriali.

Wall Of Sound Gallery

Per quello che riguarda la selezione degli autori, teniamo ragionevolmente conto dei gusti del pubblico italiano, ma con una visione internazionale. In questo ci ha aiutati enormemente il lavoro di diffusione svolto sui social.

Guido, hai intrapreso anche un altro percorso che ha dei tempi più lunghi rispetto a quelli dello scatto fotografico. Mi riferisco ai libri. Ci puoi raccontare?

Una ventina di anni fa mi ero disamorato dei ritratti mordi e fuggi alle celebrities. Rituali scontati per lo più destinati ad una editoria messa in crisi dall’avvento di internet e della televisione. Desideravo concentrarmi su progetti di ampio respiro, che mi permettessero di approfondire un tema o un soggetto. Progetti che, col senno di poi, mi hanno fatto scoprire un nuovo, diverso modo di fotografare senza macchina fotografica. Così sono nati quattro libri dedicati a Fabrizio De Adré (inclusa la curatela della grande mostra di Palazzo Ducale a Genova), due a Gaber, uno a Fernanda Pivano (realizzato a quattro mani con lei), uno a Mia Martini e infine uno a Pier Paolo Pasolini.

Lentamente è maturata l’idea di fare della galleria anche una casa editrice e di curare in assoluta autonomia ogni aspetto dei nostri volumi, dal progetto grafico fino alla stampa. Un’esperienza appassionante che ci ha dato e ci sta dando molte soddisfazioni.

Qualcuna delle tantissime celebrities con cui hai lavorato è mai venuta a Alba a trovarvi?

Sono venuti a trovarci Brian Eno, Francesco Guccini, Noa, Willie Nile, Dori Ghezzi, PFM, Shel Shapiro, Luca Morino dei Mau Mau. Patti Smith è passata proprio in un giorno di chiusura mentre eravamo a Bologna ad inaugurare una mostra di Frank Stefanko. E poi naturalmente abbiamo ricevuto i fotografi di cui abbiamo esposto le mostre: da Masayoshi Sukita (Bowie) a Frank Stefanko (Bruce Springsteen), Gered Mankowitz (Hendrix), David Burnett (Marley), Merri Cyr (Jeff Buckley), Cesare Monti (Lucio Battisti), Luca Greguoli e Mimmo Dabbrescia (Mia Martini), Cristina Arrigoni (The Sound of Hands).[:]

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