Alessandra Gabrielli: riprogettiamo il nostro futuro

Gli adulti di oggi, in Italia, non hanno sperimentato le difficoltà delle guerre e i conseguenti traumi e hanno di conseguenza cresciuto una nuova generazione che non sa cosa voglia dire affrontare una vera difficoltà

Paura, ansia, depressione, stress: i termini più ricorrenti in chi racconta la propria esperienza di vita in tempi di COVID, ma al di là di ciò che ogni giorno sentiamo in televisione o leggiamo sui giornali cosa ci sta succedendo veramente? Che effetto psicologico sta avendo la pandemia su tutti noi? Quale nuovo malessere viene riportato da chi chiede un supporto psicologico? E soprattutto chi chiede questo supporto?

Lo abbiamo chiesto ad Alessandra Gabrielli, psicoanalista con una vastissima esperienza con pazienti in età evolutiva e non solo, uno dei soci fondatore della Society for Psychotherapy Research Italia, consulente per i Bisogni Educativi Speciali per alcune scuole di Milano, Ricercatore dell’International Psychoanalytical Association.

Alessandra, secondo un recente studio sono gli adolescenti la categoria più a rischio per le restrizioni imposte dal Covid, nella tua esperienza puoi confermare questa affermazione ?

Vorrei innanzitutto definire meglio la fascia di popolazione di cui stiamo parlando, proponendo una diversa suddivisione, per essere più chiara. Se parliamo di infanzia ci riferiamo a  bambini pre e post scolarizzazione elementare fino ai 10 anni di età, la fase della  la pubertà  comprende bambini che frequentano le scuole medie fino ai 13 anni, l’adolescenza comprende i  giovani che  frequentano le scuole superiori fino ai fatidici 18/20 anni, c’è poi una fascia del tutto nuova che va dai 20 ai 30/35 anni nella quale si smette di essere essere accuditi dalla famiglia di origine,  ma non ci si prende  ancora cura della propria prole, per poi passare agli adulti e, infine, agli anziani.

In questo momento io vedo tantissimi adulti preoccupati: per il proprio lavoro, per la propria salute, per la propria prole, per i propri genitori. Un adulto in difficoltà è la cosa più complicata da affrontare anche per i bambini e per gli adolescenti a lui affidati, in quanto non è più in grado di contenere le loro difficoltà di crescita, viene meno in tal modo a 3 delle principali funzioni genitoriali: contenere l’ansia, infondere speranza e pensare.

Gli adulti di oggi, in Italia, non hanno sperimentato le difficoltà delle guerre e i conseguenti traumi e hanno di conseguenza cresciuto una nuova generazione che non sa cosa voglia dire affrontare una vera difficoltà. I nostri giovani poco tollerano le frustrazioni. Anzi, il saper sopportare le frustrazioni non viene messo nemmeno in agenda educativa dai genitori di oggi. Per rispondere alla tua domanda quindi, dall’esperienza raccolta nel mio osservatorio privilegiato, posso affermare che le fasce di età che stanno soffrendo maggiormente in questo periodo sono proprio quelle degli adulti e degli anziani.

Le restrizioni alla socialità e alla mobilità per la tua esperienza non hanno colpito maggiormente gli adolescenti e i più giovani?

Gli adolescenti, per la mia esperienza, se la stanno cavando abbastanza bene. Riescono a mantenere la propria socialità. In modo virtuale, certo! Ma mentre per noi adulti il virtuale è un surrogato della socialità in presenza, per gli adolescenti fa meno differenza perché comunicano così già abitualmente. È sicuramente un momento di difficoltà, ma non mi pare così drammatico per loro.

Molto più colpita la fascia dell’età puberale e quella nuova categoria di giovani tra i 20 e i 35 anni di cui parlavamo. Nell’età puberale inizia il graduale distacco dall’adulto, reso impossibile in questo periodo in quanto ormai in casa un adulto è sempre presente. C’è quindi un vero e proprio freno all’evoluzione di questi ragazzi. Per i giovani invece non più adolescenti e non ancora adulti, c’è un tema ancora diverso. A questa popolazione è stato offerto un modello di vita che si svolgeva tutto fuori casa e che ormai è naufragato, e non hanno risorse per crearne uno nuovo. Questa popolazione soffre di una sorta di pigrizia che gli impedisce di crearsi alternative, una incapacità di affrontare la difficoltà del momento.

Molti studi tuttavia riportano un crescente numero di casi di autolesionismo e di internet addiction tra gli adolescenti, come lo spieghi?

Stiamo parlando di fenomeni in crescita in questa fascia di età, ma non a causa della pandemia. La pandemia ha fatto da catalizzatore, ha esasperato situazioni già esistenti. Il genitore che non ha messo il proprio figlio in grado di affrontare le difficoltà, oggi si rende conto maggiormente del disagio in cui il giovane versa perché la sua permanenza in casa è aumentata in modo esponenziale. Ancora una volta è l’incapacità dell’adulto, nel suo ruolo genitoriale, a far fronte a queste difficoltà a creare il problema nell’adolescente. In passato l’adulto riusciva a fare fronte alle difficoltà dei giovani, oggi molto meno; agli adulti sono venuti meno gli strumenti e di conseguenza i ragazzi si trovano senza adulti capaci di contenerne la sofferenza. Noi oggi siamo più interessati a sostenere che a riprogettare. Il nostro orizzonte è il passato non il futuro, mentre in tutti i campi dobbiamo riprogettare, ripianificare, trovare soluzioni nuovi a nuove difficoltà, ricostruire un nuovo presente.

E questo riprogettare come impatta sugli anziani?

Gli anziani hanno sofferto e soffrono moltissimo. Pensiamo solo a come è stata affrontata questa emergenza. Dalla spesa on line alle piattaforme di prenotazione dei vaccini, ad ogni problema è stata trovata una soluzione digitale! E gli anziani sono tagliati fuori da tutto quanto è digitale per definizione! Se non c’è un giovane o un adulto digitalizzato a prendersene cura, l’anziano non sa come gestirsi.

Inoltre, non c’è stato anziano, nel primo lock down soprattutto, che non abbia fatto esperienza del dolore e della sofferenza del distacco, della lontananza, della morte, affrontata spesso in solitudine, di persone carela ‘impossibilità di salutare un congiunto, un amico…tutto questo ha scavato un solco profondissimo e ha acuito il declino psicofisico e le paranoie e le diffidenze tipiche di questa fascia di età.

Il 9 dicembre la Consulta delle società scientifiche di area psicologica ha inviato una lettera al governo per chiedere che si intervenga tempestivamente per affrontare il disagio psicologico di migliaia di persone a causa del Covid

Purtroppo, ancora oggi la nostra professione è in un limbo, una zona ambigua tra cura medica e sociale. Si pensa alla psicoterapia come qualcosa che farebbe bene, potenzialmente, a tutti, ma non ad una terapia medica che ottenga risultati di cura. Ancora una volta in questo periodo posso testimoniare una crescita di richieste di intervento, ma per situazioni di emergenza da “tamponare”, non quella di persone che vogliano intraprendere un percorso di cura.

Quando manca la speranza l’adulto va in panico e non sa come reagire. Ancora una volta un problema legato all’adulto e alla sua visione, all’orizzonte, al futuro.

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