Italian Pas a Deux

Excellence Magazine entra nel mondo del balletto con un’intervista a due giovani e già affermati talenti del Teatro alla Scala: Martina Arduino e Marco Agostino.

Nella magnifica cornice dell’Hotel Principe Leopoldo a Lugano, incontriamo Martina Arduino, prima ballerina, e Marco Agostino, ballerino solista, del Teatro alla Scala. L, la loro carriera è già costellata di importanti successi, nei più importanti teatri del mondo.

Com’è nata la vostra passione per il balletto?

Martina: Per me è stato casuale, mi hanno notata durante una selezione per l’ingresso ad una scuola di ballo. Io avevo solo tre anni,, accompagnavo mia sorella maggiore, io avevo solo 3 anni ma l’insegnante ha notato la mia naturale inclinazione per la danza. A 10 anni sono entrata in Accademia a Milano, lì mi sono appassionata.

Marco: E’ stata mia madre, stanca di vedermi ballare ovunque sentissi la musica, a portarmi in una scuola di ballo quando, avevo 12 anni, stanca di vedermi ballare ovunque sentissi la musica, ma è stato mio padre a farmi capire che la danza sarebbe stata la mia vita, quando mi regalò un dvd di Nureyev del 1964. Sono rimasto folgorato dalla sua forza, dalla virilità, da ’allora ho cominciato a studiare e a 16 anni sono entrato all’Accademia Teatro alla Scala.

Nel 2019 avete raccolto importanti successi internazionali, quali sono i nuovi progetti ?

Martina: L’anno è stato molto intenso, ha segnato la prima volta per noi al Teatro Cremlino di Mosca con la Bayadère, io ho anche debuttato nel ruolo di Aurora nella Bella Addormentata di Nureyev, un balletto tra i più amati dalle ballerine, un punto d’arrivo. In futuro mi auguro una stagione importante al Teatro alla Scala, con balletti classici e contemporanei. I primi diAll’inizio di dicembre, saremo Principal Guests della Compagnia del Cremlino, con cui abbiamo un programma fino a luglio 2020; insieme faremo Il Lago dei Cigni, in Russia.

Marco: È stato importante ballare nel mondo con diverse compagnie in tutto il mondo:, lo scorso giugno siamo stati ospiti al Georgian National Ballet a Tbilisi con Corsaro, a fine giugno 2020 abbiamo progetti per un gala Nureyev. La parte principale della nostra stagione è alla Scala, ma avere la possibilità di danzare come Guests è molto importante, poterlo fare con Martina è una grande spinta.

Quando è cominciato il vostro amore?

Marco: Un anno e mezzo fa. Ci siamo conosciuti all’Accademia alla Scala, ma l’amore è nato con il primo balletto insieme e l’inizio non è stato proprio idilliaco. Per me Martina è un esempio, lei sa come bisogna vivere questo mestiere, con forza e determinazione. Mi ha subito colpito la
sua maturità, pur avendo solo 23 anni.

Quanto conta il coinvolgimento psicologico nella preparazione di un nuovo balletto?

Martina: È molto importante, in base anche ai diversi personaggi. Ho debuttato in Romeo e Giulietta qualche anno fa ed è stato un lavoro preparatorio immenso, come per un attore teatrale, un’indagine introspettiva che anticipa tutta la preparazione sui passi. È il maître che ci prepara e ci supporta in questa fase.

Marco: L’insegnamento è una parte molto affascinante del balletto: la passione nel tramandare, da persona a persona, niente di scritto, perché chi insegna il più delle volte ha già eseguito quel balletto, quindi lo ha vissuto in prima persona e ti trasferisce tutto ciò che ha imparato.
Impariamo tutta la storia del balletto, ma acquisiamo anche la visione personale del maestro e quindi dei suoi insegnanti, poi bisogna saper apportare la propria interpretazione.

Avete lo stesso maître?

Marco: All’interno del Teatro alla Scala ci sono diversi maître fissi ma ogni balletto ha un proprio coreografo. I più importanti del grande repertorio come Nureyev, John Cranko, Balanchine, Macmillan e altri hanno creato delle fondazioni che assegnano maître preposti all’insegnamento di uno specifico balletto, per riprodurre appieno lo stile del coreografo, e ci sono diritti d’autore da rispettare.
Il più delle volte, i maître della fondazione hanno lavorato e vissuto con il coreografo, conoscono profondamente la sua opera, sanno come insegnarla e tramandarla. Molti balletti nascono da grandi romanzi, in questo caso si inizia dalla fonte letteraria. Adesso, alla Scala, stiamo preparando Onegin, un romanzo di Pushkin con la coreografia di John Cranko, quindi partiamo dalla storia e dal pensiero di Pushkin, poi c’è il racconto personale del coreografo e la musica. I passi del repertorio classico non sono più di un certo numero, il resto è capacità interpretativa.

Martina: Questo è uno dei lati più belli del nostro lavoro, si scopre andando avanti. Otto anni di Accademia servono per lavorare sul corpo, sulle gambe, sulla preparazione atletica, dopo scopri che ogni ruolo è diverso e devi pensare come il personaggio. È ciò che ci differenzia dalla ginnastica artistica, ci alleniamo come atleti ma questo è l’aspetto che differenzia la nostra arte dalla ginnastica.

Il balletto è dinamico? Si evolve di generazione in generazione?

Marco: Sì, i ragazzi che si diplomano oggi sono tecnicamente più avanti rispetto alle precedenti generazioni, è un’evoluzione naturale, il lavoro vero comincia quando si è in una compagnia, quando bisogna spingersi oltre la tecnica.

Repertorio classico e moderno, quale amate di più?

Martina: Ho sempre avuto il sogno di interpretare il Cigno Nero, dopo averlo fatto lo considero il ruolo che amo di più. ÈPoi è bello scoprirsi capaci di interpretare stili nuovi e molto diversi. Ho debuttato nel Bolero di Béjart, con musiche di Ravel, non avrei mai immaginato di poterlo interpretare essendo così giovane, è stato meraviglioso. Ho sempre espresso una forte preferenza per il classico ma, per esempio, è stato straordinario lavorare con Marco in Petite Mort, balletto pazzesco di Kilián, contemporaneo, a piedi nudi.

Marco: Petite Mort in francese indica il momento dopo l’orgasmo, sono 25 minuti di delicatezza assoluta, senza nessun tipo di allusione sessuale, è tutto molto soffice, etereo, un capolavoro. La musica è di Mozart, il coreografo Jiri Kilián è uno dei geni del ‘900.
Ho lavorato con il coreografo Angelin Preljocaj in Winterreise di Schubert, in tre mesi ho visto creare il balletto in modo totalmente spontaneo, vivo, un’opera in divenire:, questo è il fascino del repertorio moderno.

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