Diego della Valle storia di un’intuizione tutta Made in Italy

Lo chiamano Mister Tod’s. E lui, Diego Della Valle, lunghi capelli vaporosi ravvivati di continuo, sciarpa al collo e catenine ai polsi, sembra gradire. Così come non gli dispiace il ruolo di capitalista illuminato e anticonformista ma con una spruzzata snobistica, di essere annoverato tra i massimi rappresentanti del made in Italy nel mondo, di essere provocatoriamente polemico con l’establishment economico e i potenti distribuendo a banchieri, imprenditori e manager patenti di “arzilli vecchietti”, “ragazzini incompetenti” e “furbetti cosmopoliti” con il risultato di farseli nemici.

DELLA VALLE 2Non gli dispiace nemmeno di impersonare la figura del mecenate. Così restaura il borgo natio nei pressi di Sant’Elpidio a Mare, nelle Marche; reinventa il welfare aziendale pagando i libri di scuola per i figli dei dipendenti e altro ancora; spende 25 milioni per restaurare a Roma il Colosseo e ci riesce dopo un braccio di ferro con la burocrazia durato un paio d’anni. È irrequieto e aggressivo, crede nell’immagine e nel marketing, è molto ricco. È presidente e il principale azionista del gruppo Tod’s che è quotato in Borsa dal 2000, produce scarpe, abbigliamento e accessori di lusso con i marchi Tod’s (rappresenta il 57% del fatturato, 980 milioni di euro nel 2013), Hogan, Roger Vivier e Fay, dà lavoro a quasi 5 mila dipendenti diretti mentre più del doppio sono impegnati nell’indotto.

È poi padrone della squadra di calcio della Fiorentina; ha fondato insieme a Luca Cordero Montezemolo (un grande amico, i due sono chiamati “il gatto e la volpe”) e a un altro paio di persone una società privata di trasporto ferroviario (Ntv) che con Italo fa concorrenza nell’alta velocità a Trenitalia delle Ferrovie dello Stato; entra con piccole quote in quelle che una volta erano i “sancta santorum” del paese, daMediobanca ad Unicredit sino alla casa editrice Rcs che stampa il più importante quotidiano italiano, il Corriere della Sera, e ci resta anche quando riconosce di essersi pentito; talvolta comunque esce dalle società in cui ha messo uno zampino, sbattendo a volte la porta oppure facendo buoni affari: nel 2006 incassa una plusvalenza di 250 milioni di euro vendendo le sue azioni della Bnl alla francese Bnp Paribas, nel 2013 ne guadagna altri 350 dalla vendita del 15% dei grandi magazzini del lusso Saks; ora sta rilanciando a Roma Cinecittà insieme ad un altro amico, Luigi Abete, ex presidente della Confindustria e numero uno della Bnl. Insomma, Della Valle è un tipo frenetico in tutto quello che fa.

Nato il 30 dicembre 1953 a Casette d’Ete, in provincia di Ascoli Piceno, Diego Della Valle è furbo e intelligente. Ed è curioso. Ama i dettagli al punto che Luca di Montezemolo dirà come il più grande difetto dell’amico fraterno sia proprio quello di non sapere delegare. Ama l’ironia e ama anche gli scherzi: li fa alla maniera di quel film stupendo di Mario Monicelli, “Amici miei”, ma li subisce anche sfoggiando, dicono, un certo stile. Ama i sogni, le comodità, il mare, la musica (Beatles, Mina, Lucio Battisti), il superlavoro, le donne, la famiglia. Ed è già nonno. Tre i matrimoni: prima Simona, quindi Annamaria, infine Barbara, la quale è la sorella di Simona. E due i figli: Emanuele, avuto dalla prima moglie, e Filippo, avuto dall’ultima. Con il risultato che Emanuele e Filippo sono cugini-fratelli.

La sua storia nasce dalla tradizione artigianale marchigiana. All’inizio c’è Filippo, il nonno: fa il calzolaio, il ciabattino, cucendo suole e tomaie nella cucina di casa. Poi c’è Dorino, il padre: fa artigianalmente scarpe per grandi marchi. Infine c’è Diego: avrebbe dovuto diventare avvocato. Queste almeno le speranze del padre. Va quindi all’università di Bologna ma invece delle aule di giurisprudenza preferisce frequentare il bar Zanarini con gli amici. Quattro esami in tutto e poi smette. Va allora negli Stati Uniti, dove abbina un corso di marketing ad uno stage nei department store. E gli diventano chiare le idee sul futuro. Così, quando torna in Italia, ha il chiodo fisso del marchio.

DELLA VALLE 3Il padre, che coltiva sempre la speranza di vederlo tornare all’università, lo lascia fare ma non lo aiuta più di tanto. E Diego va avanti come un bulldozer: ha l’idea di un prodotto innovativo dove tradizione, qualità e ricerca si uniscono, dove possono stare insieme lavoro e tempo libero, eleganza e sport, estetica e tecnica. Alla fine degli anni Settanta apre un ufficio a Milano e bussa alle porte degli stilisti, da Fendi a Krizia e Ferrè, con questa proposta: lui realizza gratuitamente le scarpe per le sfilate ed il ritorno in pubblicità è costituito dalle foto e dalle citazioni che appaiono sui giornali; in cambio gli stilisti ottengono un prodotto eccezionale. Nascono così le scarpe da donna “Diego Della Valle” per il prét-a-porter. Ma si tratta solo di una breve parentesi di fronte a quella che rappresenta la vera svolta dell’azienda: le Tod’s.

Una volta mi racconterà così la sua intuizione: «Nei primi anni Ottanta mi sono reso conto che l’abito della domenica non era più il vestito buono di una volta e che al suo posto c’era un abbigliamento di buon gusto ma più informale. C’era quindi bisogno di scarpe che unissero l’eleganza alla praticità, la leggerezza alla comodità. Scarpe che potessero essere portate sia in spiaggia sia in ufficio». E inizia l’era delle Tod’s, le scarpe a pallini. Mocassini estivi e leggerissimi, con un nome scelto, dice ma non si sa quanto sia vero, aprendo a caso l’elenco telefonico di Boston ma che ha comunque il pregio di essere pronunciato nella stessa maniera in tutte le lingue. L’ispirazione dei pallini gli viene da uno strano tipo di calzature notate in Portogallo, quando il padre le vede gli dice di buttarle via. Lui invece porta i pallini a 133 e, nato e cresciuto in una terra dove si respira sin dall’infanzia l’odore della pelle, produce le scarpe con questi gommini utilizzando pellami di ottima qualità. Ma accanto ad un capolavoro di artigianato con una settantina di fasi di lavorazione, Della Valle sfodera anche un’ottima strategia di marketing e di comunicazione: triplica, quadruplica il prezzo facendole diventare glamour, un accessorio cult.

E per quanto lui lo abbia sempre negato, in molti hanno creduto che le difficoltà iniziali di trovare le Tod’s sul mercato abbiano fatto parte di una precisa strategia di vendita: più non si trova una cosa, più il prodotto è esclusivo. Le scarpe con i gommini finiscono così ai piedi dei vip, da Gianni Agnelli a Luca Cordero di Montezemolo, da Kevin Costner a Richard Gere, da Tom Cruise a Mel Gibson, da

Lee Iacocca al re Juan Carlos. E a loro volta le foto di questi signori con ai piedi le scarpe con i pallini finiscono sui giornali di tutto il mondo. A 34 anni Della Valle è già ricco.

DELLA VALLE 5Poi ci sono le Hogan, i giacconi Fay ispirati agli indumenti dei pompieri di New York e le borse chic, la quotazione in Borsa, l’ingresso in vari consigli d’amministrazione, la villa a Capri appartenuta allo scrittore Axel Munthe, lo yacht di 16 metri che è stato di John Fitzgerald Kennedy (il Merlin) e il veliero di Calisto Tanzi (il Te Vega), le esternazioni contro i burocrati dello Stato e la gerontocrazia dell’establishment economico, la quasi ossessione velenosa nei confronti della Fiat, degli Elkann e di Sergio Marchionne. Politicamente Della Valle si definisce «uno di centro, moderato e laico». Finanziariamente ha aiutato negli anni il partito di Lamberto Dini, il centrosinistra di Romano Prodi, il partito di Silvio Berlusconi (almeno all’inizio), anche un quotidiano orgogliosamente

comunista come Il Manifesto. Ora lancia severi appelli per il rinnovamento della politica italiana, per quanto abbia in quel mondo come faro personale Clemente Mastella, da tempo oscurato. Cambia comunque spesso opinione: adesso non va più d’accordo con il “rottamatore” Matteo Renzi dopo averlo in un primo tempo sostenuto.

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