Andrea Vitullo: l’Incredibile Forza della Vulnerabilità

La vulnerabilità può trasformarsi in una grande forza; diventare coraggio e aiutarci a realizzare magie nella connessione profonda con gli altri
Andrea Vitullo

Le persone perfette non combattono, non mentono, non commettono errori e non esistono

Aristotele

Ho incontrato Andrea Vitullo in un tiepido pomeriggio di inizio primavera, quando Milano si veste dei suoi panni migliori per conquistare anche il visitatore frettoloso con le straordinarie fioriture di magnolie bianche e rosa nei giardini nascosti qua e là per la città.

Non poteva esserci momento migliore dell’anno per questo incontro! Dopo essere stato manager per 18 anni in aziende multinazionali, Andrea oggi si dedica alla formazione e al coaching verso manager di aziende di diversi settori profit in Italia e nel mondo, per aiutarli a ” fiorire”  in uno dei ruoli più difficili, dopo quello di genitore – naturalmente –  essere un Leader.

Leadership: un termine spesso abusato, misconosciuto, la cui importanza e potenza non è chiara spesso nemmeno a chi si accinge ad assumersene la responsabilità. Ma cosa si deve intendere oggi per leadership? Lo abbiamo chiesto ad Andrea, executive coach e designer di percorsi e ritmi più umani, come ama definirsi.

Andrea Vitullo

Le parole sono importanti direbbe Nanni Moretti (Palombella Rossa)- ci risponde ironico Andrea- Ci sono parole ormai logorate dall’uso che ne facciamo, parole che si svuotano così di significato; come sembra accadere per la leadership, termine così potente da aver ispirato una vera e propria mistica, simile a un mantra in grado di guarire ogni malattia sociale, economica, politica. Leadership e leader sono anglicismi mutuati dal lessico guerresco.

Il Leader evoca il comando, il controllo, la competizione e certamente un mondo pensato e declinato tutto al maschile; alimentato da forme di “ego” ipertrofiche!

Io preferisco parlare di Guida, mi piace di più! La Guida lavora sulla fioritura dei talenti delle persone, la Guida mi accompagna, mi aiuta ad esprimere al meglio le mie inclinazioni, la ricerca della “vocazione, la sperimentazione delle mie molteplici identità. La ricerca del mio daimon per dirla con il celebre mito di Er descritto da Platone. Le organizzazioni impegnate in questo tipo di ricerca insieme alle persone che ne fanno parte favoriscono partecipazione e contribuzione da parte di tutti; è necessario andare al di là delle forti personalità e dei leader carismatici. Il processo di trasformazione è già in corso in quelle aziende che vogliono dare un “senso” più ampio al proprio fare.

E come approcci queste aziende?

Aver lavorato per anni e anni in azienda mi ha aiutato. Io lascio che vengano usate pure le vecchie definizioni, alcune etichette tipiche del gergo HR (risorse umane) difficili da smantellare, se questo mi consente di traghettare l’organizzazione verso altri lidi.

In pratica costruisco un ponte tra le richieste di sviluppo e formazione più tradizionali (ad esempio verso una leadership distribuita) e una visione più generativa, più orientata all’accoglienza e alla relazione, all’ascolto e alla gentilezza, a forme più tradizionalmente femminili e legate alla “cura”, forme che appartengono comunque a donne e uomini, al di là del genere.

Costruire ponti tra il business e le persone, sviluppare la ricerca di anima delle organizzazioni è infatti la mission di Inspire, la società che ho fondato nel 2006, che realizza progetti di consulenza strategica.

Cosa ha portato Andrea da manager interessato alla propria crescita professionale in azienda a coach occupato a far crescere i manager come persone?

Ho iniziato a lavorare nel 1988 nel marketing e nella comunicazione, ma sin da allora la visione antropologica, il comprendere i comportamenti delle persone, la parte nascosta dell’iceberg che muove le aziende era ciò che mi interessava maggiormente.

Nel 2000 quando ero dirigente per una multinazionale finanziaria assicurativa è arrivata l’illuminazione grazie ad un Master presso l’Insead – l’International Business School di Fontainbleu-  dove ho incontrato Manfred Kets de Vries, grande professore e scrittore di saggi sulla leadership ed il suo lavoro a metà tra teorie di management, psicoanalisi e psicoterapia mi ha subito affascinato.

Ho continuato a studiare, a praticare e lavorare per comprendere ancora meglio cosa muove le persone, come funzionano le relazioni e le dinamiche emotive che sono più nascoste, quelle appunto sotto l’iceberg; ho voluto portare avanti in parallelo alla mia attività in azienda tutto questo per qualche anno, esercitandomi con dei manager di alcune società americane quando ancora di coaching in Italia si parlava pochissimo.

Secondo la “saggezza comune” bisogna prima sapere che cosa si vuole e poi agire, la carriera invece -nella mia esperienza- non è un percorso lineare verso una meta predeterminata, un’identità professionale già idealmente conosciuta; ma un viaggio irregolare lungo il quale misuriamo i nostri “possibili sé” personali e professionali attraverso il fare concreto. Herminia Ibarra, professoressa in Organizational Behaviour alla London Business School lo spiega bene in un suo libro: “Working Identity”.  I cambiamenti professionali e di vita con una maggiore possibilità di successo sono quelli dove mettiamo in pratica la nuova identità professionale in parallelo, mentre siamo ancora impegnati con il nostro vecchio lavoro e in molti casi con la nostra precedente vita.

Per me è stato proprio così, infatti ho scritto il mio nuovo capitolo professionale attraverso un mio libro (Leadership riflessive – Apogeo n.d.r.) uscito nel 2006 mentre stavo ancora lavorando alla Comunicazione e agli Eventi in azienda.

Il passaggio da un’identità all’altra, da dirigente a formatore e consulente è stato sicuramente facilitato da alcuni incontri casuali e fortunati. Mi ha dato forza incontrare persone che hanno “fatto il tifo” per me.

Che hanno creduto in me, nel mio bicchiere mezzo pieno, persone che mi hanno fatto intravedere attraverso la fiducia che mi hanno accordato ciò che avrei potuto essere e come poter fiorire. Uno per tutti che voglio citare è Umberto Galimberti che è stato uno degli incontri e mentori più importanti in un passaggio della mia vita.

Era il 2006, il mio anno mirabile! Lascio il mio lavoro in azienda, pratico come coach, pubblico il mio primo libro, esce un articolo su una nota rivista nella quale si parla del progetto della mia società Inspire; quello di portare i filosofi dentro le organizzazioni. Un grande azzardo per l’epoca poichè la dimensione filosofica della riflessione, delle domande aperte, del “conosci te stesso” non aveva molto spazio nella vita manageriale di allora prevalentemente impregnata di obiettivi e alla strenua ricerca di risultati e performance.

Andrea Vitullo

Nel tuo ultimo libro: Realizzati e Consapevoli – gli allenamenti mindfulness che trasformano il tuo lavoro e la tua vita (scritto con Giuseppe Coppolino – Hoepli 2020 ), non sembri più rivolgerti ai manager, ai leader.

Oggi il coach lavora sulla ricerca personale, esistenziale e contemporaneamente sugli impatti e risvolti professionali di questa ricerca continua dell’essere umano.

Oggi le dimensioni personali e professionali sono integrate e in questi ultimi anni questa integrazione sta ancora di più accelerando.

Le palestre che abbiamo nella vita legate alla cura e all’attenzione come genitori e figli sono in grado di sviluppare competenze legate alla nostra intelligenza emotiva e all’ascolto; competenze essenziali che possono essere accese e trasferite anche sul lavoro. E tutto questo funziona anche al contrario; quando è invece nella vita professionale che impariamo al meglio come diventare “problem solver”, come organizzare il nostro tempo e prendere decisioni valorizzando il punto di vista degli altri.

Le nuove generazioni vogliono realizzarsi sicuramente nel proprio lavoro, ma vogliono avere contemporaneamente anche una vita. E una vita ricca di presenze umane e non solo di colleghi!

Si fanno domande importanti sul perché faccio questo lavoro, quali sono i miei valori, il mio scopo e come faccio ad essere più sostenibile nelle mie scelte e nelle relazioni con gli altri?

E il mondo di questo ha veramente bisogno; parliamo sempre di più di sostenibilità non solo pensando all’ambiente ma anche alle relazioni che abbiamo con il prossimo.

Da circa 3 anni mi occupo molto di progetti per lo sviluppo di una leadership più inclusiva. In grado di fare spazio a tutti e di abilitare le possibilità per sviluppare e mettere in pratica il potenziale di ciascuna e ciascuno di noi.

Gli allenamenti che possiamo fare attraverso un ascolto profondo ed interiore che parte dal corpo, dalle emozioni e dai pensieri, il saper stare in silenzio per saper ascoltare, i semi e le intenzioni che decidiamo di coltivare sul lavoro sono alcuni degli strumenti di cui scrivo nel mio ultimo libro. Un saper creare relazioni a partire da una maggiore confidenza con le nostre e altrui fragilità e vulnerabilità.

La vulnerabilità può trasformarsi in una grande forza; diventare coraggio e aiutarci a realizzare magie nella connessione profonda con gli altri.

Essere una “guida” attraverso le proprie fragilità significa generare fiducia in un team; fare spazio all’errore e alla possibilità di non essere perfetti. Significa generare energia; un’energia che si traduce in creatività, benessere, e risultati.

Per troppo tempo abbiamo guardato alle mancanze delle persone, alle insufficienze, ai cosiddetti “gap” da colmare con un disperato desiderio di arrivare alla perfezione.

La mia ricerca adesso è verso forme di “leadership” generativa. Verso nuovi modelli (role models)  e guide -anche nelle aziende- che credano nella possibilità di far crescere persone piu forti e più brave di loro. Nuove guide che non scelgono sulla base di pregiudizi e stereotipi, su ciò che gli somiglia e in cui si riconoscono ma che si fanno nuove domande per essere più consapevoli di come si “sceglie e decide”; guide che vogliono comprendere come includere e fare spazio a chi è diverso “da me”, per background scolastico e professionale, per scelte di vita e intenzioni, per gender e/o etnia. E che sanno “vedere” veramente la ricchezza dell’altro, per includerlo, per mettersi in discussione e fare spazio alla creatività e all’innovazione.

Cosa c’è nel futuro di Andrea?

La mia vita e il mio lavoro mi hanno allenato ad essere un eterno studente; a voler crescere ed evolvere attraverso nuove esperienze, incontri, occasioni. A saper aspettare senza pormi obiettivi troppo precisi, a mantenere salde le intenzioni ma sfocati i punti di arrivo.

Tuttavia, per rispondere alla tua domanda, se penso a ciò che mi piacerebbe fare ti direi canalizzare l’esperienza che ho acquisito sin qui in un progetto che possa avere impatto su ancora più persone. Vorrei poter partecipare a nuove forme di comunità a cui donare lo studio e il lavoro di questi anni. Il lavoro che faccio mi appassiona moltissimo, ma vorrei donare ancora di più ciò che sento e pratico agli altri.

La scrittrice e poetessa Chandra Livia Candiani, a chi le chiedeva cosa fosse la maturità ha risposto così: quando un frutto è maturo, è pronto per essere mangiato e cade dall’albero. 

Ecco, io, oggi… mi sento maturo.[:]

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