Quando l’alta moda diventa sostenibile, il lusso diventa etico

Fashion Revolution si pone come obiettivo principale la formazione di una coscienza etica e green rispetto al mondo della moda
excellence magazine fashion revolution

Era il 23 Aprile 2013 quando a Savar, periferia di Dacca, capitale del Bangladesh, migliaia di operai di un’azienda tessile vennero fatti rientrare in sede nonostante le pericolose crepe segnalate nella struttura.

Tutti quei lavoratori rientrarono ai loro posti per continuare a produrre capi ed accessori per i marchi più prestigiosi dell’alta moda. Non fecero in tempo a ricominciare ad accendere i macchinari che il palazzo crollò drammaticamente.

Il bilancio del crollo fu del tutto simile a quello di una vera e propria strage: 1.129 morti ed oltre 2.500 feriti, la maggior parte dei quali rimasta disabile a vita.

Dalla strage al risveglio delle coscienze

Il disastro del Rana Plaza (questo il nome dell’edificio) ha dato il via ad un moto di indignazione globale che ha portato, sempre nel 2013, alla nascita del movimento Fashion Revolution.

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Il movimento è nato negli USA dalle due co-fondatrici: Carry Sommers e Orsola De Castro. Ben presto si è ampliato ed ha raggiunto tutti i paesi del mondo.

Fashion Revolution si pone come obiettivo principale la formazione di una coscienza etica e green rispetto al mondo della moda.

Il motto del movimento Fashion Revolution è: “scegliere cosa acquistiamo può creare il mondo che vogliamo”.

Forti di questa convinzione, i membri del movimento sono stati veri fautori delle campagne di sensibilizzazione e denuncia verso le vere origini dei capi delle maggiori firme.

Fashion Revolution ha contribuito grandemente a spezzare quella filiera produttiva, spesso inumana, che per anni ha visto le grandi maison, ma anche molti marchi fashion di fascia più economica, sfruttare il lavoro di operai dei paesi più poveri del Pianeta, costringendoli a lavorare in condizioni simili a quelle del Rana Plaza.

Who made my clothes

La domanda che ha ispirato la Fashion Revolution week di quest’ anno è stata “Who made my clothes?”: chiedersi chi ha prodotto i vestiti che si stanno indossando ma anche con quali materiali e con quale impatto sull’ambiente è un primo passo per evitare che la strage del Rana Plaza sia avvenuta invano.[:]

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