#inArteChicco il nuovo progetto di Chicco Sabbatella

In questo progetto voglio utilizzare l’arte e la comunicazione d’immagine come mantra di riflessione sui temi sociali, utilizzando e sfruttando la curiosità dell’uomo, quasi sempre distratto dalla vita e dai suoi tagli, voglio strappare un sorriso e un breve momento di riflessione leggera parlando d’arte e, perché no, di #inartechicco, il nome che ho scelto per la rubrica
Carmine Sabbatella
Carmine Sabbatella

Carmine Chicco Sabbatella nato nel 1982 a Polla (SA), vive e lavora tra Milano e Sala Consilina. Si è laureato con lode all’Accademia di Belle Arti di Brera in Arti Visive sotto la guida del Maestro Stefano Pizzi e specializzato nella stessa in Arte e Antropologia del Sacro Contemporaneo con il Critico Andrea B. Del Guercio ed il Teologo Mons. Pierangelo Sequeri dove dal 2003 al 2008 è tutor e dal 2009 al 2014 è Image Designer per l’ufficio mostre. Il percorso espressivo predisposto da Sabbatella in questi anni di intensa attività di ricerca e di indagine ha visto proliferare aree tematiche diverse e fattori di scelta plastica che vanno dalla pietra al ferro alla stampa digitale e alla fotografia. Sabbatella si presenta nel sistema dell’arte contemporanea con un progetto artistico-culturale, rigorosamente caratterizzato dalle tre componenti tecnico espressive, che va ad interagire tra i diversi valori della fruizione estetica.

Carmine Sabbatella
Carmine Sabbatella

L’arte come linguaggio o come ispirazione?

L’arte è linguaggio, tanto quanto la parola. L’idea di fare arte per un fruitore è la linfa che ogni autore rincorre, alla ricerca di un’emozione da trasmettere ad osservatori disattenti ma curiosi che nell’idea del non capisco, non so, trovano un riferimento personale, facendo propria un’esperienza lontana dalla retorica del sapere ma vicina alla semplicità imminente della comunicazione.

Come è iniziato il tuo percorso professionale?

L’arte è sempre stata un’emozione concreta, una presenza costante nella mia famiglia. Le prime sculture prendono forma nel laboratorio di mio padre, maestro del ferro e lavoratore instancabile, il mio primo maestro di vita. Poi arriva Milano e l’Accademia di Brera, tasselli di un percorso intenso, lungo quasi un ventennio, dove la ricerca è divenuta indagine e confronto.

Dal sogno alla realtà. Un viaggio nel tempo dal primo istante di consapevolezza di ciò che volevi essere.

“Se puoi sognarlo, puoi farlo”: Walt Disney aveva ragione. Sono un sognatore e la vita, a volte, mi fa sognare ad occhi aperti allontanandomi dalla realtà. Questo gioco di equilibri mi tiene in un limbo colorato che fa da filtro al grigiore della monotonia della vita. Ho sempre desiderato una vita colorata, e grazie all’arte è così.

La tua arte spazia su vari media. Quale strumento è più vicino alla tua anima?

Fare arte come ricerca comporta una selezione: quando provo a dire qualcosa, quasi sempre il mio lavoro è quello di togliere, semplificare, sia nella forma che nel concetto. Che sia il lavoro certosino di un’agoincisione o un monolite in pietra, l’idea ultima rimane quella del compromesso che esiste tra le tre componenti: l’autore, l’opera e il fruitore.

Se tutte le parti percepiranno una propria autonomia di giudizio, l’opera avrà una sua vita, capace nel tempo di raccontare nuovamente una storia, come oggi fanno le grandi opere che abbiamo ereditato, libri su tela o scolpiti nel marmo a testimonianza di linguaggi ancora attuali e in evoluzione attraverso le nuove tecnologie.

Hai prodotto opere importanti lavorando la materia. Quanto è importante per te l’idea di trasformare una visione in un’opera d’arte?

La materia, i volumi, le cose grandi mi affascinano. Progettare e sviluppare un’idea ha solo un fine: la realizzazione, e quando questo accade, quando si ha la voglia di accarezzare la materia, di farla propria, si compie e comincia il gioco. Creare opere pubbliche non è mai fine a se stesso, bisogna tenere conto di chi vivrà i luoghi, del luogo stesso. L’opera pubblica spesso diventa identitaria, quindi si ha un carico di responsabilità che è una piacevole sfida in costante ripetizione.

Quanto ha influito la tua terra sulla tua formazione artistica e sulle scelte di linguaggio?

Sono della provincia di Salerno, anzi sono Salese, quasi Etrusco. L’identità della mia terra è riconducibile in tanti dei miei lavori: la mia terra è tellurica, forte e allegra, sensazioni ben visibili nel mio fare. I caratteri identitari sono cangianti, le prossime contaminazioni accresceranno il mio patrimonio fortificandolo, e io cercherò di accumularle e tradurle in opere nuove.

Una nuova esperienza: una rubrica su Excellence Magazine, ci racconti il progetto e le tue aspettative?

La divulgazione e la ricerca artistica sono il punto chiave per il mio percorso d’arte, esperienze come questa porteranno nuovo ossigeno.

Ho l’abitudine di lavorare in maniera stacanovista proprio per le soddisfazioni che il mio lavoro porta, la gratitudine dell’arte è la ricompensa più bella: vivere d’arte e sentirsi liberi di raccontare la propria arte, farsi bandiera e promotore di messaggi. In questo progetto voglio utilizzare l’arte e la comunicazione d’immagine come mantra di riflessione sui temi sociali, utilizzando e sfruttando la curiosità dell’uomo, quasi sempre distratto dalla vita e dai suoi tagli, voglio strappare un sorriso e un breve momento di riflessione leggera parlando d’arte e, perché no, di #inartechicco, il nome che ho scelto per la rubrica.[:]

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