Lauro Venturi, che si definisce “anarchico di cuore e liberalista di testa” è un dirigente d’azienda e un formatore specializzato in Medie Imprese e Sistemi Associativi. Attualmente è Amministratore delegato di un’impresa leader mondiale nella progettazione e realizzazione di tecnologie per l’irrigazione; oltre alla normale attività manageriale ha realizzato l’obiettivo di portare l’azienda verso un solido ricambio generazionale. Per questo sta ripensando al modello di business della sua stessa impresa, affrontando insieme a giovani competenti e motivati un intenso percorso di formazione e di coaching.
Lauro, come leggi il cambiamento che stiamo vivendo?
Più che cambiamento a me pare una metamorfosi. Le regole della normale gestione del cambiamento negli ultimi anni non esistono più. Ho l’impressione che siamo prossimi a un’evoluzione darwiniana, ovvero quella situazione in cui a sopravvivere non è il più forte ma quello che meglio si adatta. Il cambiamento si induce con un processo lungo, non per esortazione.
Quindi #andratuttobene o la vedi diversamente, soprattutto per le gallerie d’arte?
Il mantra dell’andrà tutto bene è solo un rito sciamanico. Devono valere anche nell’arte i principi dell’economia di scala. La cultura delle gallerie d’arte è ancora eccessivamente “romantica”, direi snob, e il modello di business da rinnovare. Non si può tenere aperto per fatto affettivo, deve essere a posto il conto economico.
Pienamente d’accordo ma il gallerista è una figura tutt’altro che naïf
Bisogna fare una scuola di impresa per galleristi. Aggregazioni, fusioni, filiere devono entrare anche nel vocabolario delle gallerie d’arte. Sviluppare collaborazioni sempre più a rete e in rete non vuol dire perdita di identità. Impariamo a far convivere cultura di impresa con identità artistica. Il gallerista non è più colui che promuove l’artista ma è il titolare di un’azienda in cui l’artista è il prodotto, il gestore di un luogo in cui si fa arte. Il gallerista deve essere un manager con una cultura di tipo economico. Sempre parlando di business, la segmentazione è un altro concetto che va applicato: un conto è vendere un’opera d’arte a un mercante, un altro a un appassionato che la tiene per sé. Sono solo esempi, anche banali, per dire che o fai questo salto o rimani nella nostalgia.
Romanticismo, nostalgia.. tutte parole che poco hanno a che fare col business
Ti dirò di più: se facessimo un “psico test” al gallerista ne uscirebbe – ne sono certo – l’io narciso. Temo che un gallerista sia un mancato artista. Ma questa è frustrazione, non imprenditoria! Io sono pronto a fare terapia di coppia gratuita a gallerista e artista.
Certo, perché in questo ragionamento non abbiamo ancor coinvolto l’artista
Gli artisti, a parte alcuni mostri sacri, sono talenti con forte indice di mortalità. Se le loro opere non vengono acquistate rimangono, in linguaggio d’azienda, dei prototipi. Quindi? Bene, il mio prodotto non saranno più quadri e sculture ma direttamente l’artista. E quindi dovrò ampliare la mia gamma prodotti, ovvero la mia attività di R&D [research and developement, ndr]. Badate, l’R&D ha forte interconnessione col post vendita, con i ricambi. Ragionare in termini di impresa prevede anche che il gallerista-imprenditore sia una persona il meno possibile innamorata del proprio prodotto. Per questo ci vuole una terapia di coppia.
Chiudiamo tornando al tema iniziale: cosa ci dobbiamo aspettare da un prossimo futuro?
Temo conseguenze non banali se continua questa prigionia. I trentenni dovranno separarsi dai vecchi, prepararsi a formule nuove come il ripensamento della globalizzazione. I giovani devono prendersi la responsabilità di fare cose che fino a ieri non avrebbero fatto. Non parlo di previsioni ma di immaginazione di nuovi scenari. Per questo mi aspetto molto dai più giovani anche nel mondo dell’arte.[:]