Federico Fellini, omaggio al Maestro

Al momento della sua morte, nel 1993, Federico Fellini aveva vinto quattro Oscar per il miglior film in lingua straniera, raggiungendo nell’importante riconoscimento, un altro grande del nostro cinema, Vittorio De Sica. Ma 25 anni dopo la sua morte, la lunga ombra della sua eredità va ben oltre i premi e i riconoscimenti. La visione del Maestro era così singolare e ipnotica da trasformare il suo nome nell’aggettivo “Felliniano”. I suoi film hanno mostrato a generazioni di registi la via da seguire.
Federico Fellini

Al momento della sua morte, nel 1993, Federico Fellini aveva vinto quattro Oscar per il miglior film in lingua straniera, raggiungendo nell’importante riconoscimento, un altro grande del nostro cinema, Vittorio De Sica.

Ma 25 anni dopo la sua morte, la lunga ombra della sua eredità va ben oltre i premi e i riconoscimenti. La visione del Maestro era così singolare e ipnotica da trasformare il suo nome nell’aggettivo “Felliniano”. I suoi film hanno mostrato a generazioni di registi la via da seguire.

Martin Scorsese, per esempio, ha recentemente ammesso di rivedere il capolavoro di Fellini del 1963, 8 1/2 ogni anno. “8 1/2 è sempre stato una pietra di paragone per me, per tanti motivi”, ha detto. “La libertà, il senso dell’innovazione, il rigore alla base e il cuore profondo del desiderio, l’attrazione fisica, affascinante dei movimenti della macchina da presa e delle composizioni.”

Federico Fellini

Nato nel 1920, nella città balneare di Rimini sulla costa adriatica (un riferimento geografico che sarebbe tornato spesso nei suoi film come ad esempio Amarcord e Roma), Fellini ha iniziato la sua carriera cinematografica come sceneggiatore per Neo di Roberto Rossellini nel film realista del 1945: Roma, città aperta.

Difficile immaginare che un decennio e mezzo dopo, Fellini avrebbe voltato le spalle al realismo o neo-realismo. I suoi primi film ispirati a Rossellini come I Vitelloni del 1953 vennero messi da parte, per passare allo stile più sentimentale di La Strada, nel 1954 e The Nights of Cabiria del 1957, che brulicavano di un doloroso senso di umanità tra i circensi e artisti di strada.

Poi, naturalmente, è arrivata La Dolce Vita. Uno racconto sull’edonismo esistenziale e postbellico, alimentato dal fascino dissoluto del suo eroe stremato dal mondo, Marcello (Marcello Mastroianni) e da una manciata di immagini indelebili come una statua di Cristo trasportata in aereo sopra la città e Anita Ekberg con l’indimenticabile scena del bagno nella Fontana di Trevi. La Dolce Vita ha consacrato Fellini ponendolo nei ranghi più alti dei registi più famosi del mondo[:]

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