Le mode passano, il bello resta. E se poi il bello è anche ben fatto resta per sempre.
Lo sanno bene le aziende italiane che, note per le loro capacità produttive e il know-how qualitativo, producono collezioni di alta gamma anche per conto di altri marchi, nazionali e internazionali. Lo sanno ancora meglio i brand stranieri, in particolar modo francesi, che, consapevoli del ruolo che il made in Italy svolge nel lusso, ne fanno incetta sul mercato. Bloomberg stima che, dal 2010 a oggi, siano state realizzate novantasette acquisizioni a livello mondiale nel comparto del lusso e che il 31% delle operazioni abbiano visto protagonista LVMH per un ammontare complessivo di oltre dieci miliardi di dollari, pari al 61% del valore totale delle stesse.
Se da una parte questo processo giova alle aziende italiane per via del network internazionale e delle risorse che questo è in grado di mettere a disposizione, consentendo un più rapido sviluppo del proprio brand, dall’altro la gestione e la proprietà passano in mani straniere che non sempre ne condividono gli interessi. Quelle che non entrano nei giochi dei grandi player possono solo raccogliere il guanto della sfida della crescita lanciata dal mercato globale per affermare il primato del made in Italy, un simbolo che va ben oltre i confini dei marchi blasonati per abbracciare il lifestyle del buon gusto a tutto tondo, nel lusso, nella moda, nell’arte e nel vivere. Come? Per esempio stringendo accordi con partner strategici internazionali e sfruttando i canali di vendita all’avanguardia, come l’e-commerce o il travel retail.
A questo tema, estremamente attuale, è stato dedicato il consueto appuntamento di fine anno di Pambianco e Intesa San Paolo che non ha mancato di evidenziare come le acquisizioni rivolgano lo sguardo (e il portafoglio) anche alle aziende produttrici. Principale effetto benefico è la crescita dei distretti produttivi per fatturato e dipendenti anche se, nel lungo termine, non è da scartare in toto il rischio della minore importanza che potrebbe essere attribuita dal consumatore alla manifattura in favore del brand e che porterebbe con sé un ridimensionamento della produzione in Italia.
Innegabile poi che nella catena del valore del lusso l’azienda façonista partecipi in misura minima al fatturato; del resto i numeri del lusso si ottengono con le magie del marketing, ancora più che con la qualità del prodotto, anche se, in virtù di un focus mirato su innovazione, qualità e servizio, non mancano all’appello terzisti in crescita capaci di mettere a segno profitti decisamente interessanti.
Che operino sotto il proprio cappello o quello degli altri, le eccellenze italiane, vuoi per cultura o per tradizione, nel medio piccolo sembrano essere nella propria dimensione ideale. Ma per genio e creatività seconde a nessuno. Ed è arrivato il momento di dimostrarlo ben oltre la propria corte rinascimentale.