Bruno Ferrari, uno Chef italiano in Cina

Intervista esclusiva a Bruno Ferrari, Chef italiano da molti anni in Cina. Una storia di successo, impegno, sacrifici per realizzare un progetto imprenditoriale importante. La sua storia, la nostalgia per l’Italia e le grandi opportunità offerte del mercato cinese.
Bruno Ferrari
Bruno Ferrari

Intervista esclusiva allo Chef Bruno Ferrari

Cucinare: passione o professione?

A dir la sincera verità è iniziata come una necessità, venendo da una famiglia modesta, sin dalla giovane età ho sentito il bisogno di iniziare a lavorare perchè non sempre era possibile poter avere qualche soldo in tasca.

All’età di 14 anni, uno dei pochi lavori che potevo fare era il cameriere, così mi iscrissi alla scuola alberghiera I.P.S.A.R. di Villa S. Maria, rinomata come patria dei cuochi in Italia. Questo mi aiutò a trovare lavoretti part-time nei fine settimana nei ristoranti della mia zona, a Guardiagrele, in Abruzzo. Dal primo anno di scuola ho iniziato ad avere la passione per la cucina, una passione che dopo circa 24 anni, non mi ha ancora abbandonato.

Bruno Ferrari
Bruno Ferrari

Come nasce la sua attività?

La mia primissima esperienza nella ristorazione è iniziata nel 1995, un lungo percorso tra Italia, Europa, Emirati Arabi e Asia che oggi mi ha portato in Cina a Shanghai dove gestisco una compagnia di consulenza per ristoranti e hotel, uno studio di cucina privato dove io e il mio team svolgiamo attività di food design e food tasting per clienti che vogliono aprire nuovi ristoranti, oppure per chi vuole portare un cambiamento al proprio stile. Inoltre, testiamo e valutiamo nuovi prodotti food da lanciare sul mercato cinese.

Un’altra nostra società di consulenza è attiva invece ad Hong Kong, dove offriamo servizi di head-hunting per hotel e ristoranti in Asia.

Sono il direttore culinario di 3 ristoranti italiani a Shanghai, Suzhou e Wuxi e quest’anno ho appena confermato la mia cooperazione con LAVAZZA come brand ambassador per la Cina, Hong Kong, Macao e Taiwan.

In Cina, se segui le regole, apprezzi chi ti sta intorno, rispetti la loro cultura e ti dedichi con impegno al lavoro, tutto diventa possibile.

Bruno Ferrari

Quali sono state le sue esperienze più significative?

Fin a quando vivevo in Italia le mie esperienze sono state quasi esclusivamente professionali, ho appreso tanto della cucina italiana dal nord al sud, ma le vere esperienze sono state quelle di vita, una volta lasciata la madre patria.

Incontri con persone che parlavano lingue diverse, che avevano religioni diverse e modi di lavorare differenti da quanto avevo imparato e sperimentato in Italia.

E’ stata un’esperienza complessa che mi ha consentito di crescere e mi ha fatto capire che fuori dal nostro paese c’è veramente tanto da scoprire.

Una cosa che dico sempre ai colleghi che vogliono andare all’estero per lavoro, ma che vale anche per chi sta in Italia, è quella di apprezzare al massimo ciò che il nostro paese ci offre in termini di materie prime e qualità.

Sarà infatti difficile reperire le stesse eccellenti ingredienti, mangiare una mozzarella fresca o poter andare in una trattoria dove si cucina ancora come faceva mia nonna.

E’ qualcosa che mi manca tanto, ma allo stesso tempo ho avuto l’opportunità di scoprire diverse cucine: araba, indiana, asiatica, che hanno arricchito la mia conoscenza del cibo e del gusto.

Ha incontrato persone significative, che hanno avuto un impatto importante nella sua scelta professionale?

Sinceramente ne ho incontrate molte che facevano il lavoro da cuoco e da chef, all’epoca, da ragazzino, vedevo loro come esempi da seguire, ma poi crescendo e facendo un altro tipo di percorso e diverse esperienze ho iniziato a capire che io stesso posso essere un esempio per futuri cuochi e chef che si affacciano a questa professione e a questo percorso di vita.

Perché ha scelto la Cina?

Questa è una bella domanda, non ho mai pensato alla Cina come posto dove sarei rimasto oltre 5 anni. Fu tutto puramente casuale, era il 2014 ed ero in India a Bangalore dove, come capo chef, avevo appena aperto un nuovo ristorante italiano all’interno dell’Hotel JW Marriott.

Proprio lì, dopo quasi un anno, ho conosciuto uno dei responsabili di tutti gli executive chef della catena alberghiera Shangri-la, molto famosa in Asia che ha anche con alcuni hotel tra Francia, Londra e resto dell’Europa.

Dopo aver cenato da me per 4 sere consecutive, alla fine si è presentato e mi ha offerto di lavorare nel nuovo ristorante che la catena stava costruendo a Shanghai. Da quel momento e dopo 6 colloqui via Skype e 5 mesi di tempo, fui selezionato tra 128 candidati chef e fui invitato a volare ad Hong Kong per fare un food tasting per la proprietà, insieme ad altri 6 chef che come me partecipavano alle selezioni.

Scelsero me, cosi il 22 agosto 2014 arrivai a Shanghai per iniziare una nuova esperienza. Sono rimasto per 12 mesi, poi ho aperto le attività che svolgo oggi.

Quali sono i suoi obiettivi?

Dopo 24 anni in questo settore, non ho molti obiettivi perché ho realizzato un progetto importante che ho fortemente voluto. Il mio sogno nel cassetto oggi è quello trovare un Gruppo o dei partner in Italia e poter aprire un ristorante che abbia come base la tradizione della cucina italiana contaminata e arricchita dalla mia esperienza professionale tra Asia e Cina.

Ovviamente con l’esperienza vissuta qui a Shanghai con circa 30 milioni di abitanti, punterei a qualche grande città italiana come Milano, Roma… senza ovviamente lasciare la Cina che mi ha dato e continua a darmi così tanto.

Il cibo può essere uno strumento di integrazione culturale e sociale?

Il cibo oggi ha un trend più famoso della moda. Ricordo quando 12 anni fa ho aperto uno dei primi gruppi su Facebook dove si parlava di cucina, non se ne trovavano molti in giro. Quando postavo video su Youtube, ricevevo commenti che ringraziavano per i suggerimenti che davo e per le ricette che mostravo.

Oggi i nuovi media sono pieni di informazioni, come se tutti fossero chef professionisti al punto di arrivare a criticare video ricette presentate anche da chef super stellati e famosi.

Sono stati costruiti molti miti, ma io sono del parere che le trasmissioni televisive dovrebbero essere istruttive e non gli show che vengono proposti ora.

Seguo spesso le news in Italia e ho sentito di un incremento di iscrizioni negli istituti alberghieri, perchè oggi tutti vogliono diventare “chef”. Gli spettacoli televisivi fanno emergere falsi miti legati alla fama e al successo. Ma quasi mai è la realtà di questo lavoro.

Quando ho iniziato la scuola alberghiera nel 1995 ricordo che il lavoro da cuoco era uno dei più umili e buona parte degli studenti sceglieva questa strada per vocazione, passione o per seguire le orme di famiglia che spesso era già impegnata nella ristorazione.

Oggi fare il cuoco sembra quasi un gioco, molti chef sono diventati star televisive.

Senza negare la professionalità dei colleghi, credo che se venisse mostrato come si vive in una cucina, come si dirige un brigata, il livello di stress che si genera nel realizzare piatti che devono tendere alla perfezione in un tempo brevissimo per servire i clienti… tutto cambierebbe, aggiungendo valore ad una professione complessa e bellissima.[:]

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