Elena Salmistraro, il côté eclettico del Design

Less is a bore. Elena Salmistraro lo sa bene. Sulle ali della creatività, in un perfetto equilibrio tra arte e design prende vita il suo mondo. Se oggi la sfida del design è quella di riuscire ad essere unici e riconoscibili, lei l’ha decisamente vinta. Merito di una peculiarità che sta tanto a cuore alla creativa: delegare all’oggetto la funzione che, oltre a risolvere un’esigenza quotidiana, tocca le corde dell’emozione

Less is a bore. Elena Salmistraro lo sa bene. Sulle ali della creatività, in un perfetto equilibrio tra arte e design prende vita il suo mondo. Se oggi la sfida del design è quella di riuscire ad essere unici e riconoscibili, lei l’ha decisamente vinta. Merito di una peculiarità che sta tanto a cuore alla creativa: delegare all’oggetto la funzione che, oltre a risolvere un’esigenza quotidiana, tocca le corde dell’emozione.

La vita in studio non fa per lei, così il suo spirito libero la porta a tanti anni da solista, dopo il percorso universitario, tra sperimentazione e corsi di ceramica serali, alla ricerca del proprio linguaggio e del suo posto nel design. Salmistraro non si fregia della nomina di designer, piuttosto si pone come storyteller del prodotto unico e portavoce dell’alto artigianato. Refrattaria alle tendenze e alle modalità mordi e fuggi, ribalta lo status quo dell’industrial design con un forte approccio decorativo e poetico. I suoi mostri, come Grifo, il gigante Polifemo o le scimmie della serie Primates, sono alcuni dei personaggi dell’universo eclettico e caleidoscopico di Elena, contaminato anche dalla street art degli anni Novanta.

Ne parliamo insieme al telefono per un’interessante intervista che segue.

Ci racconti un pò di te?

La mia vocazione è sempre stata legata al mondo dell’arte. Così, ho frequentato il liceo artistico e alla fine di quel percorso di studi, ho scelto un corso di laurea che fosse in grado di combinare l’approccio artistico applicato al metodo della progettazione industriale. Dopo la laurea in fashion design al Politecnico di Milano, ho deciso di ricominciare con un’altra specializzazione: quella di industrial design. Il ruolo di creativa di moda non me lo sentivo cucito addosso. Piuttosto mi definisco una creativa contaminata da vari mondi che cerca di trovare un trait d’union tra le varie discipline e di adattarle al mondo dell’industrial. Nel mio processo di ideazione tutto parte dal disegno, inizialmente su tela e ora con i device tecnologici, da dove prendono vita i miei personaggi mostruosi in 2D per trasformarsi in oggetti reali grazie alle differenti tecniche di produzione.

Il tuo stile è indubbiamente riconoscibile. Eclettico, pieno di colore, evocativo con soggetti grafici dalle fattezze da animali che sembrano mostri. Qual è l’origine delle tue ispirazioni?

Sono figlia della generazione degli anni Novanta, spettatrice di un’importante ondata in ambito artistico: la street art e le sue costole. Questa potente scia creativa, invasa dai graffiti di numerosi writers insieme ai fumetti dell’epoca, ha plasmato il mio linguaggio. I mostri ricorrenti che caratterizzano il mio lavoro sono solo ”terribili e aggressivi” a primo impatto, ma in realtà sono innocui. Vogliono tenere compagnia con un twist decorativo non convenzionale.

Ceramica, metallo, vetro, fibra di vetro, marmo sono solo alcune delle superfici con cui ha dato forma alla tua creatività. Oggi c’è un materiale d’elezione in grado di plasmare meglio le tue idee?

Sebbene abbia iniziato con la carta pesta, è per la ceramica che ho una predilezione speciale. Merito dei corsi serali che ho frequentato agli albori del mio percorso, costellato da undici anni di gavetta e tanti sacrifici. Ho imparato le tecniche più artigianali come il colombino o il tornio. Certo, non mi reputo un’artigiana della ceramica, ci sono tantissime maestrie eccellenti nel nostro paese, ma lavorandola ne ho compreso le potenzialità e le criticità. L’amore per questa materia l’ho tradotto in vari manufatti, leit motiv delle mie prime mostre. Poi è arrivato l’incontro con Bosa, che ha da subito creduto in me. Modellare la ceramica è per me un atto anche terapeutico: mi rilassa affondare le mani nel panetto e plasmarlo! Ammetto che mi piacerebbe però sperimentare anche un altro materiale, il vetro. L’ho impiegato in passato ma vorrei esplorarlo di più…Forse il prossimo progetto, chissà! L’intreccio, poi, è un’ulteriore modalità che mi affascina.

La tua formazione parte dall’ambito fashion per poi approdare nell’industrial design. Cosa la moda dovrebbe imparare dal design?

Il design ha dimostrato di essere più sensibile all’impatto ambientale nell’impiego di determinati materiali. Sicuramente la moda, che comunque sta facendo degli sforzi e scuotendo le coscienze, dovrebbe emulare questo approccio. Non solo, i tempi del fashion system sono troppo veloci (anche per questo aspetto gli stilisti stanno prendendo consapevolezza), mentre il design finora non ha avuto cadenze serrate. Oggi, tuttavia, anche il mio mondo si sta piegando ad una modalità troppo stagionale a causa delle disparate fiere di settore – pensiamo solo a quante ce ne sono in un anno dal Salone del Mobile a Maison et Objet – in cui è d’obbligo presentare la novità. Ma il processo creativo non va d’accordo con i ritmi frenetici: l’ideazione di un vaso, una lampada o un oggetto ben studiato esige tempo. Chimera, la collezione di superfici nata in collaborazione con Cedit Ceramiche d’Italia, ha avuto una gestazione di quattro anni ed è stato super stimolante. Abbiamo utilizzato una tecnica innovativa: la stampa micro-tridimensionale, in grado di riprodurre le texture dei tessuti, l’ordito e la pelle. Come vedi, attingo sempre da vari mondi e la moda è ricorrente, grazie ai miei primi studi!

 

Assolvere ad una funzione o stupire con il potere decorativo. Dai tuoi progetti verrebbe da dire che prediligi la seconda modalità. Ti senti più vicina all’arte o al design?

La funzione resta l’elemento cruciale nel design, ma ho sempre amato l’aspetto emozionale che si cela dietro un oggetto. Penso che debba farti star bene e narrare una storia. La peculiarità del mio lavoro è proprio nel racconto introspettivo: un iter che ha inizio dal disegno, la fase dove esprimo me stessa. Cerco di combinare arte e design, proponendo un oggetto unico ma prodotto con tecniche industriali.

Sei una delle protagoniste della mostra “Nelle mani delle donne” al SuperStudio Più, visitabile fino al 29 ottobre. Le donne, spesso nell’ambito della progettazione hanno dovuto fare più sforzi rispetto agli uomini. A che punto siamo oggi?

Qualcosa si sta muovendo ma procediamo a passi lenti. Quando guardo i siti web dei grandi brand, noto che la maggioranza dei designer è sempre ricoperta da uomini in quanto il mio settore ha avuto sempre una prevalenza maschile. Ci tengo a specificare che non ho mai avuto problemi o episodi spiacevoli, ma è capitato di percepire un po’ di reticenza quando mi ritrovavo a parlare con gli artigiani di vecchio stampo. Penso che le donne dovrebbero fare più network, soprattutto in un mondo come il mio dove spesso si pecca di individualismo. È difficile ma sarebbe bello. Riguardo questo tema, Silvana Annicchiarico fece un’interessante esposizione W. Women in Italian Design alla Triennale di Milano, che celebrava il design al femminile alla quale ho anche preso parte.

Quali sono i progetti futuri?

Ho diversi progetti per il Salone del Mobile, ormai per l’edizione 2021. Non posso svelare molto ma sicuramente ci saranno degli imbottiti e accessori vari come lampade e vasi per brand italiani ed emergenti. Proseguiranno i progetti con Bosa, mentre con Lithea, un’azienda che lavora il marmo, abbiamo ideato alcuni pannelli decorativi e un tavolo per il living.

[:]
Prev
Louis Vuitton: Fluidità di Genere
louis vuitton paris

Louis Vuitton: Fluidità di Genere

Il potente défilé di Louis Vuitton che ha chiuso la Paris Fashion Week, ha

Next
Il modello cinese d’esportazione

Il modello cinese d’esportazione

Mai come in queste ultime settimane l’economia cinese ha fatto segnare un

You May Also Like
Share via
Send this to a friend