Era firmata da Cicco Simonetta la missiva al cavaliere Leonardo Botta, ambasciatore del duca di Milano Galeazzo Maria Sforza presso la Serenissima: una lettera precisa e impositiva che segnalava la necessità di chiamare a corte un pittore che nelle Fiandre aveva appreso i segreti dell’uso dell’olio, abile nel restituire le immagini “al naturale”, secondo il gusto che il giovane duca, così energico e colto, perfettamente educato nella formazione umanista, tanto apprezzava ed esigeva.
Milano, dunque, richiedeva il siciliano Antonello, il pittore messinese che tutti in quel momento a Venezia apprezzavano e ambivano, ma la richiesta, pur prestigiosissima, non ebbe seguito. Così, nella città ambrosiana, le tavole del pittore, unico nel ritrarre con verità e acume i volti di patrizi e di colti mercanti appassionati d’arte, saranno osservate sempre in sua assenza. Non conosciamo il motivo per cui Antonello non accolse l’invito a corte di Galeazzo Maria Sforza, ma certamente la volontà di un ritorno alla città natale fu determinante.
La terra siciliana, le sue luci, ma anche gli sguardi e i sentimenti di chi l’abitava, i luoghi monumentali e la composizione dei paesaggi mentali, gli erano essenziali. Doveva fissarli con impasti e velature, cromie e tocchi di biacca, su tavole di pioppo e di quercia e di pero e di noce, ricordandoli in crocifissioni e pietà e annunciazioni. Immersi in quella luce che segna e costruisce gli spazi, quella luminosità morbida e intensa, che resta negli occhi di un artista che non poteva rinunciare al ritorno. Attraverso i ritratti, Antonello da Messina ha fermato l’attimo del respiro, ha saputo cogliere il fremito di un labbro o la certezza di uno sguardo, consegnandoci un racconto, una storia, un trattato sull’umana natura. Ha ritratto la femminilità virtuosa e intensa, la scontrosità e le forme di donne che hanno attraversato i secoli.
Ora, a Milano, arriva finalmente Antonello, dando vita a ciò che non si poté realizzare nell’anno 1476. A Palazzo Reale, l’esposizione propone diciannove opere del grande Maestro, su 35 che ne conta la sua autografia, opere fra le più significative della sua produzione, sopravvissute a terremoti, alluvioni e incredibili vicende di incuria umana. È l’Annunciata, del 1475, il capolavoro della piena maturità dell’artista, che cattura completamente la nostra attenzione. Assolutamente moderna, concentrata sull’aspetto più personale ed intimistico della scena e sugli esiti psicologici dell’evento, rivelati dalla realistica figura della Madonna. Complice l’assenza dell’angelo annunciante, il ruolo di testimone dell’episodio sacro viene donato allo spettatore. La giovane donna, perfetta e insieme carnale e contemporanea, chiusa nel proprio manto, consapevole del proprio ruolo nella storia dell’umanità, congela il tempo nel gesto sospeso della mano. Lo sguardo è rivolto all’Altrove.
A noi che guardiamo si manifesta l’eternità, fissata in un istante. La mostra, aperta dal 21 febbraio al 2 giugno 2019 a Palazzo Reale, a Milano – frutto della collaborazione fra la Regione Sicilia e il Comune di Milano-Cultura, con la produzione di Palazzo Reale e MondoMostre Skira, curata da Giovanni Carlo Federico Villa – è da considerarsi come uno degli eventi culturali più rilevanti, all’interno del panorama nazionale e internazionale, per l’anno 2019.
Un’occasione unica e speciale per entrare nel mondo di un artista eccelso e inconfondibile, considerato il più grande ritrattista del Quattrocento, autore di una traccia indelebile nella storia della pittura italiana.[:]