La Sardegna dei murales, espressione d’arte e sentimento popolare

Spaccato della vita quotidiana dei paesi sardi, con la rappresentazione della processione in onore di un Santo

La Sardegna, terra di un popolo riservato e a tratti introverso ma allo stesso tempo ospitale e generoso, è anche terra di contrasti e di gente combattiva, che ha sempre dovuto fare i conti con le popolazioni che arrivavano dal mare in cerca di conquiste. La Sardegna è anche una terra culturalmente ricca e politicamente attiva.

È così che la passione politica e sociale che negli anni ‘60 e ’70 del secolo scorso prende piede in Italia, sbarca anche in Sardegna. Nel clima di quegli anni trova un terreno fertile anche la nascita di una particolare forma d’arte: quella dei murales.

Espressione artistica relativamente recente, i murales sardi, colorati e contraddistinti da caratteristiche figure drammatiche, diventano il mezzo attraverso il quale raccontare storie diverse sulla vita dei pastori, sulle lotte per la terra, e sulla trasformazione della società. Le pareti di numerosi paesi sardi diventano così particolari strumenti di comunicazione.

I murales pitturati prima degli anni ‘80 del Novecento generalmente mettono in scena immagini di storie a sfondo politico, di critica e denuncia nei confronti del sistema, sia esso nazionale o internazionale. In generale si presentano come rivendicazione in un particolare periodo di crisi, riuscendo a esprimere attraverso l’arte la voglia di riscatto dei sardi, che oltre che nei simboli pitturati nei muri, si manifesta anche in una nuova appropriazione degli spazi comunitari. E’ grazie ai murales che i cittadini sardi si fanno proprietari dell’ambiente condiviso, diventando partecipanti attivi della vita politica e sociale, e acquisiscono una nuova responsabilità comunitaria.

Sul finire del Novecento i murales si appropriano, invece, di un’altra funzione: si fanno custodi del ricco patrimonio culturale, antropologico ed etnografico dell’isola. Raccontano storie di vita quotidiana e diventano una forma di espressione per tutti, semplice ma allo stesso tempo perfettamente descrittiva del passato, del presente e del futuro dell’isola. A partire dagli anni ottanta, infatti, cominciano a essere rappresentate scene di vita quotidiana, ad esempio i pastori con le greggi, uomini a cavallo, contadini con in mano la falce e donne con i figli. In questo modo i murales diventarono una manifestazione spontanea di una società contadina che vuole far conoscere i propri usi e tradizioni all’esterno, valorizzando al tempo stesso gli spazi urbani.

Le tecniche sono molto semplici. I muralisti sardi usano vernici ad acqua, tipiche degli interni, e perciò facilmente deteriorabili. In parte per una scelta estetica in base alla quale le opere vengono ritinteggiate solo se la comunità ne avverte il bisogno altrimenti, sono destinati a scomparire, lasciati alla memoria e al ricordo. Così i murales cambiano continuamente nel tempo: i più belli vengono aggiornati, integrati e rinfrescati; mentre quelli più vecchi e che interessano meno, vengono lasciati sbiadire e morire o coperti da quelli più nuovi.

Gli stili sono piuttosto diversi e passano dall’impressionismo all’iperrealismo, dalla pittura naif al realismo.

Il muralismo sardo ha i suoi centri più importanti in quattro piccoli paesi: Orgosolo, Villamar, San Sperate e Serramanna.

Ma in particolare è Orgosolo, paese simbolo della Barbagia, a distinguersi dagli altri paesi dell’entroterra per i caratteristici murales. Un piccolo paese (raggiungibile dall’aeroporto di Olbia-Costa Smeralda, con volo diretto Etihad regional da Lugano e Ginevra da maggio a settembre) situato in una zona poco conosciuta dell’isola, ma non per questo meno bella. Arroccato tra le montagne impervie che hanno contribuito a conservare quasi intatti usi, costumi e trazioni della Sardegna più genuina e autentica, dove un tempo non arrivavano molti turisti, ma che oggi grazie anche a un numero sempre maggiore di persone che apprezza questa affascinante e interessante forma artistica, sta diventando sempre più meta di visitatori. Molti murales si presentano in modo così vistoso sui muri delle vecchie case del centro storico e sui muri delle piazze del paese che lo sguardo del turista non può fare a meno di soffermarsi a osservarli attentamente.

ll primo murale a Orgosolo fu firmato nel 1969 da Dioniso, nome collettivo di un gruppo di anarchici. Pochi anni dopo, per ricordare il periodo della Resistenza e della liberazione dell’Italia dal nazifascismo, un insegnante senese e i suoi alunni ne realizzarono degli altri. Immediato fu anche il seguito di altri artisti locali. Particolarmente apprezzato il murale “I fatti di Pratobello”, il racconto della vittoria degli orgosolesi, che nel 1969 si opposero alla volontà dell’esercito italiano di creare un poligono di tiro in una zona di campagna da sempre adibita a pascolo.

Se caposcuola della tradizione muralistica sarda rimane Orgosolo, tanti altri paesi hanno però coltivato negli anni questo fenomeno artistico e sociale che ancora oggi si esprime su tematiche globali e internazionali. Decine di pitture murali abbelliscono numerosi altri paesi dell’entroterra sardo e raccontano con il loro linguaggio i costumi e la cultura delle genti che li abitano.

Murale che ricorda l’emigrazione dei tanti minatori sardi che negli anni ’50 erano costretti a lasciare l’isola per raggiungere le miniere belghe.
Murale che raffigura la protesta dei pastori sardi negli anni ‘70, contro la volontà del governo italiano di creare basi militari in aree adibite a pascolo. Le immagini sono accompagnate dalla scritta “Invece di trattori per arare arrivano carri armati e cannoni e truppe da addestrare”.
Murale simbolo dell’emancipazione femminile e della lotta per la parità dei sessi.

Da Orgosolo, spostandosi in direzione sud dell’isola, si raggiunge Villamar: qui queste pitture si sono diffuse a partire dal 1976 grazie a due esuli cileni Uriel Parvex e Alan Jofrè. L’anno successivo il fenomeno conobbe un vero e proprio impulso grazie a due artisti locali, Antonio Sanna e Antonio Cotza, I murales di Sanna rappresentano usi, costumi e immagini di vita quotidiana locale; mentre quelli di Cotza, particolarmente luminosi e colorati, raffigurano eventi storici internazionali e locali.

Coloratissimo murale che rappresenta un suonatore di launeddas, realizzato da Antonio Cotza.

A soli 30 chilometri da Villamar, troviamo Serramanna. Anche qui il fenomeno dei murales prese piede negli anni ‘70 per esprimere il disagio giovanile. Il nome del paese è legato in modo particolare a uno splendido murale sul tema dell’emigrazione realizzato nel 1979 dal gruppo di Ledda, Dessì, Putzolu e Arba e il cui nome è “Emigrazione è deportazione”.

“Emigrazione è deportazione” splendido murale sul tema dell’emigrazione, realizzato nel 1979, ad opera di un grupoo di artisti.

Altro centro particolarmente conosciuto per i suoi murales è San Sperate (facilmente raggiungibile dall’aeroporto cagliaritano di Elmas, che è collegato agli scali isolani, nazionali ed esteri da diverse compagnie aeree. Tra queste Etihad Regional, che garantisce voli diretti da Lugano e Ginevra, da maggio a settembre). Il piccolo comune, in provincia di Cagliari, è noto oltre che per le sue pitture murarie anche per le sculture e le pietre sonore dell’artista Pinuccio Sciola, scomparso di recente. Camminare per le pittoresche vie di San Sperate, significa intraprendere un emozionante viaggio nel mondo dell’arte, attraverso le figure e i colori dei suoi variopinti murales, che decorano i muri degli edifici facendone un museo a cielo aperto, un “Paese Museo”, com’è comunemente chiamato il piccolo centro.

Le origini dei murales di San Sperate risalgono al 1968, anno di grandi fermenti politici e culturali, quando Pinuccio Sciola rientrò in Sardegna dopo una serie di stimolanti viaggi in giro per l’Europa. Facendo tesoro dell’esperienza internazionale, il giovane artista contagiò presto la sua comunità con la sua voglia di cambiamento. In concomitanza con la festa religiosa del Corpus Domini, Sciola e i suoi amici iniziarono a ricoprire i vecchi e umili muri fatti di fango con strati di calce. L’operazione fu accolta positivamente dai compaesani, incuriositi e affascinati dal bianco accecante dei muri, esaltato dal forte sole dell’estate. Muri che vennero ben presto ricoperti da dipinti. Nacquero così i primi murales, molti dei quali riprendevano soggetti di carattere antropologico e politico e San Sperate divenne un laboratorio di creazione e confronto. Grazie poi all’attenzione della stampa nazionale ed estera, negli anni successivi arrivarono numerosi artisti, molti dei quali stranieri, che diedero il loro contributo dipingendo nuove opere dai soggetti più disparati.

L’attività contadina, una delle principali fonti dell’economia sarda, rappresentata in un murale di San Sperate.

Un grosso riconoscimento, che testimonia l’importanza dei murales sardi non solo per i residenti, è il sempre maggiore numero di turisti che si sofferma ad ammirare queste pitture. Tanto che, la Regione Sardegna considerandoli a pieno titolo parte del patrimonio culturale dell’isola, ha previsto un progetto di catalogazione come opere d’arte. Una volta catalogati i murales di numerosi centri sardi saranno immessi in un sistema informatico che ne garantirà la massima conoscenza.

By Elisabetta Oppo

Courtesy of Evolution, Etihad Regional Inflight Magazine

 

 

Publisher

 

 

 

La rotta Etihad Regional:

Ginevra – Olbia 4 giugno -17 settembre
Lugano – Olbia: 11 giugno – 17 settembre
(tutti i sabati, voli extra tutti i venerdì a luglio)[:]

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