Martino, così è conosciuto da tutti nel mondo del ciclismo internazionale: all’anagrafe Giuseppe Martinelli, una vita che scorre da oltre trent’anni alla guida dei più prestigiosi team professionistici delle due ruote.
Guidare un team, gestire grandi campioni, far emergere talenti. Risultati che parlano da soli: 6 Giri d’Italia, 3 Tour de France, 1 Vuelta a España, 1 Campionato del Mondo, un numero significativo di Campionati Italiani…
Marco Pantani, Vincenzo Nibali, Alberto Contador, Fabio Aru, Alexander Vinokourov, solo per citarne alcuni dei grandi campioni che hanno alzato le braccia al cielo seguendo i consigli, le strategie e le tattiche del tecnico italiano.
Martino, gestire un team è come guidare un’azienda?
Gli elementi e gli strumenti nella mani di un direttore sportivo hanno attinenze estremamente simili alla normale gestione d’impresa.
Budget e previsioni di spesa, obiettivi da raggiungere, stakeholder da coinvolgere e risorse umane da motivare, formare e guidare verso gli obiettivi, competenze da valutare e ruoli da assegnare, e alla fine di ogni stagione un bilancio da presentare agli investitori per convincerli a supportare ancora il team.
Un contesto complesso quindi, dove immagino sia necessario avere una leadership ben strutturata e riconosciuta.
Perché tutto funzioni è necessario essere riconosciuti da tutti i componenti del team. Ingranaggi speciali di un processo votato alla vittoria di un solo atleta, che si concretizza solo attraverso un sapiente gioco di squadra e la guida inflessibile di un capo, non per forza eletto dal popolo, ma certamente apprezzato per le sue competenze, l’esperienza e la capacità di ascolto.
Ho costruito la mia leadership passo dopo passo, lasciando che i risultati parlassero per me. Ricordo che ero al team Carrera Jeans, guidato da Davide Boifava: tutti sapevano di poter contare su di me, gli atleti come lo staff tecnico, i massaggiatori come gli sponsor.
Ascoltavo e davo le risposte che ciascuno si aspettava, divenendo così un punto di riferimento.
E’ questo ciò che nella mia esperienza deve fare un capo: esserci e non aver mai paura di prendersi la responsabilità di parole e azioni.
Anche in un team sportivo sono importanti fattori come ruoli, funzioni e compiti?
Sono estremamente importanti. La strategia viene sempre studiata a tavolino. Prima di ogni gara ogni variabile viene analizzata e la tattica viene trasferita in modo semplice allo staff del team che, in modo consapevole e responsabile, mette in pratica i compiti affidati.
E’ un esercizio che prevede abilità, perfetta conoscenza degli obiettivi e degli strumenti per raggiungerli e capacità di mediazione. Spesso mi sento una specie di peacemaker!
Quanto vale la meritocrazia in questo genere di impresa?
Quando si lavora in un team di professionisti la valutazione meritocratica delle competenze è importante. In ambito sportivo non è così scontato trovare strutture con competenze professionali dove il confronto diventa reale, paritario e concreto e dove quindi la definizione del merito è “vera”.
Non bisogna avere paura del confronto, né delle valutazioni quando il team ha al suo interno valori come la fiducia e il rispetto. Mai avere paura del successo altrui.
E il rispetto dei ruoli?
Fondamentale: in un team essere consapevoli del proprio perimetro d’azione, della valutazione delle proprie competenze e di come ci si prende lo spazio d’azione è spesso la carta vincente. L’esperienza inoltre, consente spesso di prevedere il futuro, non tramite un atto magico e divinatorio, ma grazie ad un’attenta osservazione di quanto accaduto, accompagnata da un’analisi che consente di pianificare al meglio le cose da fare e di ridurre al minimo i rischi di insuccesso.
Quanto vale la vittoria?
Immensamente. Nel mio lavoro vincere significa aver messo in atto una serie molto specifica di comportamenti e aver saputo supportare al meglio il campione per tagliare il traguardo per primo.
Campioni, talenti, fuori classe. Ci aiuti a capire meglio il significato di queste parole?
Campioni si nasce. E’ qualcosa che viene prima di tutto.
Un campione può fare tutto ciò che vuole, non è mai preoccupato, pensa sempre che i problemi li abbiano gli altri.
Un campione è fuori da qualunque normalità e ritiene che attorno a sé ci siano persone sempre in grado di accogliere le sue esigenze.
Quando parli con un campione devi pensare di essere alla sua altezza, devi riuscire a cogliere la sua attenzione nei pochi minuti ti concede prima di tornare ai suoi pensieri.
Il campione è prigioniero del suo talento.
Nella mia carriera ho incontrato campioni straordinari, arrivati da me già maturi, come Vincenzo Nibali o Alberto Contador.
Per poterli guidare al successo è stato necessario diventare loro complice per aiutarli a completare la loro opera d’arte.
La parola talento è invece figlia della parola campione: talento è ciò che il campione decide di fare, la strada che intraprende, ma il talento da solo non va da nessuna parte, ha bisogno di supporto per potersi esprimere, di guida per trovare la strada.
Nella mia storia ci sono rapporti con atleti di talento che ho fatto crescere e che hanno raggiunto importanti risultati.
E poi c’è il fuoriclasse, il campione tra i campioni, che ha trovato un insieme di persone, di strumenti e di supporti che lo hanno reso ancora ancora più grande.
Penso a Ronaldo che ha lasciato un team per giocare in una squadra popolata da grandi campioni che rendono la sua presenza straordinaria, trasformandolo in un fuoriclasse.
Penso ad Eddy Merckx, grande campione diventato fuoriclasse grazie al supporto di una squadra. La forza e le competenze del team sono, in questo caso, elementi imprescindibili per vincere
Martino, tu hai guidato un grande campione come Marco Pantani: come avete lavorato per vincere Giro d’Italia e Tour de France?
Quando ho costruito la Mercatone Uno, i miei obiettivi erano molto chiari.
Marco Pantani aveva le potenzialità per compiere l’impresa del doppio obiettivo nelle corse a tappe più importanti e difficili del calendario agonistico.
Ho studiato con attenzione le caratteristiche di Marco per 4 anni, era pronto, invincibile in salita. Su questa “competenza” non c’erano dubbi.
Marco era il più forte quando riusciva ad arrivare tranquillo ai piedi delle salite e le grandi corse a tappe si vincono quando la strada sale.
Ho scelto quindi competenze complementari e di supporto. Atleti che potessero lavorare in pianura affinché Pantani restasse focalizzato sul suo punto di forza.
Ho costruito il team per raggiungere l’obiettivo: vincere Giro e Tour, impresa possibile grazie alla verticalizzazione delle competenze e all’esaltazione dei punti di forza di ciascuno.
Per capire meglio ci fai un altro esempio di campione e talento?
Utilizzando un esempio automobilistico il campione è paragonabile al motore e il talento alla carrozzeria. Pensiamo alla Ferrari, un motore potente e performante e una livrea da sogno che insieme costituiscono un oggetto perfetto.
L’incontro più importante della tua carriera?
Avevo 29 anni, era il mio primo anno come direttore sportivo.
Ho incontrato Alfredo Martini, commissario tecnico della nazionale italiana, l’unico leader che io abbia davvero conosciuto. L’ho ascoltato parlare, e al termine del suo discorso mi ha chiesto: “Perché tu parli poco?”. Ho risposto, “Impossibile parlare quando ti ascolto, perché sono troppo preso da quello che mi dici”.
Come si fa a parlare dopo uno che parla così bene?
E’ stata una grande opportunità averlo avuto come esempio per tanti anni.
Martino com’è il tuo rapporto con i media?
Leale
Un’ultima cosa che vuoi dirci?
Con un campione, se non vinci, perdi.
Perdi perché dovresti vincere, e se non vinci significa che hai sbagliato qualcosa.
Un capo ha la responsabilità dei risultati e ha il dovere di studiare gli avversari, di motivare il team e di sviluppare la capacità di parlare con ciascuno la lingua che può comprendere.
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