Nausicaa Dell’Orto: touchdown da favola

Nausicaa Dell’Orto, 25 anni, un nome e una storia da favola. Da Milano agli States, dove lavora per NFL Films, ci racconta un’avventura nel segno dello sport e del talento: dagli allenamenti improvvisati di Parco Sempione al titolo di capitana della nazionale italiana femminile di football americano
nausicaa dell'orto captain of the Italian women's football national team

Nausicaa Dell’Orto, 25 anni, un nome e una storia da favola. Da Milano agli States, dove lavora per NFL Films, ci racconta un’avventura nel segno dello sport e del talento: dagli allenamenti improvvisati di Parco Sempione al titolo di capitana della nazionale italiana femminile di football americano.

nausicaa dell'orto leader american football italian national team

Come ti sei avvicinata a questo sport?

Nel 2010 ho iniziato a fare la cheerleader per la squadra di football americano maschile dei Seamen Milano. Sì, avete capito bene, facevo la ragazza pompon. Ogni weekend ero a bordo campo a fare il tifo per i ragazzi e, partita dopo partita, mi sono appassionata al gioco fino a quando non ho deciso di mollare i pompon per diventare una giocatrice di football. Non volevo più stare a bordo campo, perché il mio posto era in campo.

Ho radunato alcune mie compagne di squadra e altre ragazze interessate, e insieme alla figlia del coach della squadra maschile, Valeria Vismara, siamo andate dal Presidente della squadra a chiedere di aprire una sezione femminile.

Ci rise in faccia. “Siete il sesso debole per un motivo, vi fate male”, diceva.

E noi non lo abbiamo ascoltato.

Siccome non ci voleva sul campo da football, abbiamo deciso di usare il Parco Sempione come stadio e, allenate da Maurizio Vincemalis, abbiamo iniziato a diventare una squadra. Usando il Parco Sempione come agorà, abbiamo attirato gli sguardi di tante altre ragazze e da 7 siamo diventate 20. In contemporanea, una squadra stava nascendo a Bologna. Organizzammo una partita e tornammo a casa con la nostra prima vittoria. Da allora il Presidente decise di investire su di noi ed oggi in Italia ci sono 15 squadre, un campionato nazionale e una squadra nazionale.

Quando hai capito che questo sarebbe stato il tuo futuro, e quali sfide hai dovuto affrontare per realizzare i tuoi obiettivi?

Non ho mai pensato in maniera specifica “questo sarà il mio futuro”, semplicemente, sentivo di fare la cosa giusta.

I miei genitori non approvavano la mia scelta di praticare uno sport “violento”, molti non credevano in quello che facevo, ma in cuor mio sapevo di essere sulla strada giusta.

Perché il football mi fa sentire viva, mi fa sentire al posto giusto e penso che ognuno di noi dovrebbe perseguire le cose che fanno battere il cuore a mille, che fanno lavorare sodo e che danno forza.

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Ho cominciato a pensare al mio futuro durante l’ultimo anno di Università, dove ho studiato Lingue, Comunicazione e Media.

In famiglia abbiamo una tradizione: dopo la laurea, dobbiamo passare almeno due mesi negli Stati Uniti a lavorare nell’azienda del miglior amico di nostro padre. Un’azienda che produce componenti di motori e macchine. Ogni mattina la sveglia suonava alle 4, alle 5 dovevo già essere in catena di montaggio a scaricare casse, controllare la produzione di bulloni e valvole, tutte cose che a me non interessavano minimamente ma che mi hanno fatto capire cosa avrei voluto fare nella vita.

L’ho capito il giorno in cui il responsabile vendite mi chiese aiuto per presentare un prodotto alla Chrysler: invece di proporgli una presentazione PowerPoint, ho deciso di creare un video. Da quel momento ho capito che volevo raccontare storie.

Dopo due summer program di Storytelling e Tv Production al Menlo College di Palo Alto e alla Boston University, tramite la mia Alma Mater, l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, sono stata selezionata  per partecipare alla Summer School di Sky e ho ideato un programma sportivo guidata dal presentatore di Sky Sport NBA Alessandro Mamoli.

Dopo la Summer School ho lavorato a Sky come stagista: raccontavo storie di Basket e Calcio, ma volevo fare di più. Volevo raccontare storie del mio sport, il football americano. Così, ho scoperto che NFL Films cercava stagisti ed ho subito mandato la mia candidatura.

Dopo 7 colloqui via Skype mi hanno chiesto di raccontare una storia di una pagina, per capire se sapessi scrivere. Ho raccontato la storia di Penelope, una cheerleader che decide di voler giocare a football e crea la prima squadra in Italia per poi diventare capitana della nazionale italiana: la storia finiva con una domanda, “ve l’ho mai detto che il mio secondo nome è Penelope?”.

Dopo una settimana ho ricevuto la conferma della mia assunzione. Ero al settimo cielo.

Quali sono i valori più importanti e le lezioni più significative che questo sport ti ha trasmesso?

Il football si fonda su un concetto fondamentale: il fatto che devi rimanere in piedi, quando tutti cercano di buttarti giù.

E anche quando ci riescono, tu devi rialzarti ed andare avanti. Questo è il concetto su cui si fonda la mia vita. Finché non mi sotterri, io non mi arrendo, e se riesci a farmi cadere, mi rialzerò pensando alla mia prossima mossa per raggiungere il mio obiettivo.

 

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Il football mi ha insegnato la resilienza. Mi ha insegnato ad essere una leader ma prima di tutto ad essere una follower. Bisogna prima rispettare i coach e chi ne sa più di te, prima di diventare un buon leader. Ho capito quanto valgo sul campo da football. Ho capito che nulla è impossibile se lavori sodo e se sai perché stai facendo qualcosa. Se non hai un perchémolto forte o una passione che ti spinge non sarai mai in grado di fare niente. Ho imparato a lavorare con qualsiasi gruppo e categoria di persone diverse da me con dedizione e sacrificio.

Quali sono i risultati più importanti che hai raggiunto, quelli di cui sei più orgogliosa, sia nel lavoro che nella tua attività sportiva?

A livello sportivo sicuramente vincere il campionato nazionale nel 2014 ed essere MVP defense nel 2013. Inoltre, essere stata nominata capitano della Nazionale recentemente è un grande onore per me. A livello lavorativo sicuramente le 2 nomination agli Sports Emmys nel 2019 per i miei due documentari “Cooking with Giorgio Tavecchio” e “Football in Italy”. Lavorare per la NFL è un sogno che si avvera per me, quindi nomination a parte sono davvero orgogliosa di essere riuscita a realizzarlo.

Cosa cambieresti dell’ambiente sportivo in Italia? E negli States?

Lo sport ti insegna a vivere e credo fermamente che l’Italia dovrebbe investire in questa grande scuola di vita che è lo sport in tutte le sue dimensioni, anche al di fuori del calcio. Uno dei modi migliori per farlo è sfruttare l’intrattenimento e i social per creare contenuti di qualità che facciano appassionare chi li guarda.

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Negli States lo sport è prima di tutto spettacolo, lo spettacolo vende i biglietti e fa girare l’economia.

Bisognerebbe investire sull’esperienza del tifoso a 360 gradi e dare fiducia ai giovani.

Negli States a livello di sport e sports entertainment sono avanti anni luce, ti danno un’occasione e se la sfrutti bene cresci in fretta anche in termini di carriera. Possiamo solo imparare da loro da questo punto di vista.

Cosa ti ha spinto a voler intraprendere una carriera nel mondo dei media, e a dedicarti a raccontare storie di sport e di sportivi?

Lo sport e il football mi hanno cambiato la vita in meglio sotto tanti aspetti. Ho deciso di raccontare storie di sport ed in particolare di football per portare quello che sentono i giocatori in campo a tutti gli appassionati. Ci sono persone che non avranno mai l’occasione di praticare questo meraviglioso sport e io voglio far sentire loro cosa significa mettere piede in campo, condividendo le emozioni, l’adrenalina e la forza dei giocatori. Inoltre, con NFL Films, mi piace esplorare la realtà dei giocatori al di fuori del campo: le passioni dei giocatori, cosa mangiano, cosa muove il loro spirito e che eredità vogliono lasciare nel mondo.

Perché alla fine è questa la chiave, trovare un punto in comune tra questi super sportivi e i loro tifosi. In fondo tutti abbiamo paura, tutti amiamo, mangiamo, piangiamo…e tutti vogliamo lasciare un’impronta sul mondo, qualcosa che duri per sempre.

Cosa significa per te eccellenza? 

A NFL Films abbiamo una regola: NO WHINING AND DON’T FORGET TO F.L.A.P.

FLAP sta per Finish Like A Pro: per noi significa che anche con 40 gradi sopra o sotto zero, mille ore di lavoro in piedi o tante difficoltà, bisogna sempre curare ogni minimo particolare e tutto deve essere eseguito alla perfezione, fino alla fine.

Per me l’eccellenza è questo. Lavorare sodo curando i dettagli e senza lamentarsi, portando a termine ogni obiettivo. Lottare con tutte le forze fino ad arrivare alla meta, o come diciamo noi nel football, al TOUCHDOWN.[:]

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